L’Italia deve introdurre il riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso. A stabilirlo, la Corte europea dei diritti umani. I giudici di Strasburgo hanno infatti condannato l’Italia per la violazione dei diritti di tre coppie omosessuali e al risarcimento di 5mila euro per ognuno di loro.
Per la corte “un’unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso”. Dunque, non è più solo un invito, un auspicio, una speranza, adesso è un ordine a tutti gli effetti della Corte europea dei diritti umani.
In sintesi, la corte, pur non imponendo vincoli sullo strumento da individuare – non parla esplicitamente di matrimonio, ad esempio – richiede di trovare, come spiegano gli avvocati delle coppie, “una forma istituzionalmente definita” per riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. La sentenza di oggi diverrà definitiva tra 3 mesi, se i ricorrenti o il governo non chiederanno e otterranno un rinvio alla Grande Camera per un nuovo esame della questione.
Dunque il responso è chiaro. Chiede che il nostro Paese passi dalle parole ai fatti: le coppie omosessuali “hanno le stesse necessità di riconoscimento e di tutela della loro relazione al pari delle coppie eterosessuali. Per questo – scrivono i giudici – l’Italia e gli Stati firmatari della Cedu devono rispettare il loro diritto fondamentale ad ottenere forme di riconoscimento che sono sostanzialmente allineate con il matrimonio. Tanto più che “l’Italia è l’unica democrazia occidentale a mancare a questo impegno”.
In realtà, tra i 47 paesi del Consiglio d’Europa, a non rispettare alcuna forma di riconoscimento, troviamo anche la Grecia, la Turchia, la Polonia, la Bulgaria, la Romania, la Russia, la Slovacchia e l’Ucraina. Tuttavia “la Corte ha considerato che la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”.
Tra le prime reazioni quella di Ivan Scalfarotto, sottosegretario per le Riforme costituzionali e ai rapporti con il Parlamento: «Ho digiunato per spiegare che non avere una legge sulle unioni gay era un grave imbarazzo per l’Italia. Oggi la CEDU condanna l’Italia». Ma non mancano ovviamente giudizi opposti, come quello di Maurizio Sacconi, il quale ritiene invece che la sentenza abbia bocciato la richiesta di un matrimonio: «Sembrerebbe esservi un modo di adempiere alla sentenza, che peraltro fa riferimento a tutte le convivenze, etero e omosessuali, senza creare i presupposti per l’estensione giurisprudenziale dell’istituto matrimoniale, delle adozioni e delle provvidenze pubbliche riservate alla famiglia naturale in funzione della continuità della specie umana».
E sulla sentenza interviene anche la senatrice del Pd Monica Cirinnà, relatrice del provvedimento sulle unioni civili al Senato. “Nessuno – dice – vuole fare equiparazioni con l’istituto del matrimonio ma occorre riconoscere anche in Italia diritti sacrosanti ormai riconosciuti in tutte le democrazie europee, assegnando alle coppie omosessuali e alle loro famiglie un riconoscimento che abbia il rango del diritto pubblico, inserendole nelle tutele degli articoli 2 e 3 della Costituzione”. Era ora.