“La Città, il Comune di Napoli oggi piange la morte di Vincenzo Cinque, il luogotenente della Polizia Municipale rimasto gravemente ferito due mesi fa nell’orribile strage di Secondigliano”.
Commenta così il sindaco Luigi de Magistris, una notizia che getta un ulteriore luttuosa velo di tristezza su una domenica macchiatisi di sangue nel corso delle prime ore del mattino.
Nel giorno in cui si è consumata l’ennesima strage in Campania, il cuore dell’unico superstite di quel pomeriggio di follia che si consumò lo scorso maggio a Secondigliano, ha smesso di battere. «La forte fibra di Vincenzo non è bastata a vincere la battaglia per la vita e ci accomuniamo nel dolore abbracciando la moglie Concetta ed i figli Nunzia e Giovanni. – ha aggiunto de Magistris- L’Amministrazione ha già avviato l’iter per il conferimento della medaglia d’oro al valor civile sia per il Capitano Bruner che per Vincenzo Cinque, che purtroppo saranno entrambe conferite alla memoria. E’ un giorno triste per la nostra Città che renderà tutti gli onori a Cinque non appena terminate le rituali procedure disposte dalle autorità competenti».
L’uomo, quel giorno, pur di salvare i passanti dalla follia omicida di Giulio Murolo, l’infermiere che in preda ad un raptus, al culmine di una lite familiare per futili motivi, si mise a sparare all’impazzata dal balcone della sua abitazione, puntando bersagli umani, si è esposto in prima persona, mettendo a repentaglio la sua vita, per tutelarne tante altre.
Poteva essere un’autentica carneficina e se così non è stato, il merito va attribuito a Vincenzo Cinque, un uomo qualunque, capace di un gesto tutt’altro che ordinario e scontato.
Quel giorno me lo ricordo bene e difficilmente lo dimenticherò, anche io passavo di lì.
Ero diretta a Scampia, quando davanti alla mia auto si materializzò un uomo che con fare molto garbato e rassicurante, mi spiegò che quella strada era temporaneamente chiusa al traffico. C’erano stati dei problemi, non avevano avuto il tempo di recintare il tratto con transenne e segnaletiche, ma da lì dovevo allontanarmi al più presto. Quindi dovevo invertire il senso di marcia e tornare indietro. E dovevo farlo alla svelta. Invertire il senso di marcia era un meccanismo indotto spontaneamente dal garbato monito impartito da un uomo tanto cortese.
Quell’uomo era Vincenzo Cinque e quando scoprì il reale motivo per il quale si era materialmente esposto per bloccare il transito lungo quell’improvvisato scenario da far west, non ho potuto fare altro che apprezzarne infinitamente il coraggio, il sangue freddo, la pacata capacità di non incutere timore, di non disseminare il panico.
Oggi, di conseguenza, al cospetto della notizia della sua sopraggiunta morte, predomina un egemone senso di riconoscente e sconvolgente consapevolezza.
Il suo impavido altruismo avrebbe meritato un “lieto fine”, avrebbe richiesto un epilogo ben diverso. Ma la crudeltà che quella folle vicenda disseminò nell’aria, ha reso palpabile l’imponente accettazione dell’impossibilità di scegliere “il finale” e ancor più, quello che è giusto e quello che non lo è affatto e non lo sarà mai.
Ingiustizia, barbarie, razzia, spari, ferocia, sangue, orrore, terrore: quel giorno hanno predominano la scena e stasera hanno tristemente chiuso il cerchio conquistando l’ultimo, l’auto bottino.
Tuttavia, nulla può nemmeno la morte al cospetto di un atto di umile eroismo che non merita di finire in sordina.
Al posto di Vincenzo, potevo esserci io, poteva esserci chiunque sia passato di lì, quel giorno, proprio durante quei concitati attimi ed ha avuto la provvidenziale fortuna di vedersi parare contro il luogotenente Cinque.
Le circostanze, il destino, l’istinto: variabili imprevedibili che bilanciano le dinamiche del gioco più complesso ed indecifrabile al quale siamo chiamati a partecipare.
La vita è fatta di scelte, gesti ed attimi: questo mi ha insegnato, in un giorno qualunque di maggio, uno sconosciuto che probabilmente mi ha salvato la vita.