5 luglio 1946 lo stilista francese Réard lanciò un ridottissimo due pezzi, che avrebbe avuto effetti “esplosivi” sulla società e proprio per questo fu chiamato, dal suo creatore, con il nome dell’atollo del Pacifico, che proprio quell’anno era diventato poligono per i test nucleari americani: Bikini.
Talmente scandaloso da non trovare una modella che lo indossasse, dovendo per questo ripiegare su una spogliarellista.
Divenne subito popolare.
Finiva dunque un percorso iniziato a metà del Settecento quando i primi bagnanti iniziarono a scoprire le gioie della villeggiatura al mare. Nulla di paragonabile a oggi, tanto per cominciare non si andava certo per la tintarella, abbronzarsi era considerato plebeo.
La pelle scura infatti era tipica di contadini, pescatori e tutti quei lavoratori costretti a lunghe esposizioni ai raggi solari. Una carnagione candida, viceversa, era segno di signorilità.
Quando dunque i primi privilegiati in grado di permettersi lunghi periodi di ozio iniziarono a immergere timidamente i loro piedi nelle acque, di mari o laghi, bisognava pensare a un abbigliamento acconcio. I primi costumi da bagno andarono così a coprire quasi interamente il corpo, lasciando esposti solo piedi, mani e volto. Per le donne in particolare erano previste particolari “gonne da bagno“, fatte di tessuto che non potesse diventare trasparente, appesantito sui bordi affinché non si alzasse in acqua scoprendo le gambe. E spesso neppure questo era ritenuto sufficiente a tutelare il comune senso del pudore, e con il diffondersi del turismo “di massa” cominciarono a proliferare i bagni divisi.
Le dimensioni dei costumi da bagno restarono pressoché inalterate per quasi un secolo e mezzo, perdendo al più qualche centimetro, ma con estrema lentezza.
Nel 1907, la nuotatrice australiana Annette Kellerman durante uno dei suoi spettacoli di nuoto sincronizzato negli Stati Uniti, venne infatti arrestata perché aveva braccia, gambe e collo scoperti.
Ma fu l’ultimo sussulto di un Ottocento retrogrado e moralista, che tardava ad andare in archivio. Dopo la Grande Guerra i costumi andarono rapidamente rimpicciolendosi, dapprima scoprendo le braccia, in seguito le gambe, le cosce, quindi il collo ed il décolleté. Si diffuse rapidamente il pezzo unico e fece qualche timida apparizione il due pezzi, anche se reggiseno e mutande avevano dimensioni tali da lasciar scoperto “in mezzo” solo pochi centimetri di pelle.
Si chiamava Atome, proprio per le sue ridotte dimensioni, era stato creato nel 1934 dallo stilista francese Jacques Heim che lo aveva lanciato come “il costume da bagno più piccolo al mondo”.
La Seconda Guerra portò uno sconvolgimento che scosse alle fondamenta le società Occidentali e anche gli ultimi Paesi in cui il voto alle donne era interdetto, introdussero il suffragio davvero universale. Insomma la donna si era fatta più indipendente, più consapevole del proprio ruolo. Erano cambiati i costumi. Compresi quelli da bagno.
E il 5 luglio del 1946 il sarto Louis Réard, riprendendo l’idea del connazionale Heim, presentò a Parigi il suo modello di due pezzi, con reggiseno e slip, ridotti ormai a due microscopici pezzi di cotone.