E’ una delle feste più antiche e popolari di Napoli che si perpetua da secoli nel ventre storico della città, a pochi passi da piazza Mercato, teatro dei moti di Masaniello e della rivolta dei lazzari: l’incendio del campanile della Chiesa del Carmine.
La ricorrenza cade il 15 luglio, vigilia della festività dedicata alla Madonna del Carmelo, quando la mole di pietra dell’imponente basilica fondata dai padri carmelitani viene illuminata e decorata con drappi colorati e si dà fuoco alle micce e alle girandole di fuochi, nel cosiddetto “simulacro d’incendio del campanile”. E’ allora che la torre campanaria prende simbolicamente fuoco, grazie ai filari pirotecnici sapientemente predisposti lungo le balze dell’edificio.
Un rito antico, atteso da napoletani e turisti che vistano Napoli in questo periodo, da sempre accompagnato ancora oggi dal suono caratteristico delle tammorre, uno degli strumenti più rinomati della tradizione musicale partenopea che prende le mosse dall’epica resistenza dei napoletani alle terribili scorrerie dei pirati venuti dal mare.
Il rogo sembra rievocare un’usanza già nota ai tempi di Masaniello, quando, a due passi dalla chiesa, in occasione della festa, i fedeli erano soliti dare alle fiamme un castello di legno eretto in piazza, in ricordo delle antiche battaglie combattute contro i mori.
Durante il regno dei Borbone, i sovrani di Napoli omaggiavano la Vergine, regalando ogni anno due barili di polvere pirica per gli spettacoli esterni.
Nel secolo scorso, durante la festa, che richiamava folle da ogni parte della città e della provincia, si cominciarono a vedere le prime caratteristiche bancarelle dei venditori di impepate di cozze, di cocomeri, e soprattutto quella del tradizionale “tarallo sugna e pepe” accompagnato da una fredda birra alla spina.
Tutto ciò in memoria dei prodigiosi interventi della Vergine a protezione della città dai ripetuti assalti dei saraceni. In seguito, la rappresentazione dell’incendio fu trasferita alla cima del campanile, detto di “Fra Nuvolo”, dal nome dell’architetto Giuseppe Nuvolo, esponente del manierismo e del primo barocco napoletano, che ne disegnò e ne fece edificare la parte superiore.
Alle ore 22.00 si spengono le luci della piazza, e ha inizio lo spettacolo: girandole colorate richiamano l’attenzione dei presenti, poi dei bengala colorati con la scritta Napoli devota alla Madonna Bruna ricordano allo spettatore che quello spettacolo appartiene al popolo, e così, ha inizio l’incendio del Campanile.
Un razzo chiamato dai tecnici ‘o sorece (il topo) parte dall’attiguo terrazzo per colpire il piano delle campane e in un turbinio di esplosioni ha inizio l’incendio: delle piogge colorate rivestono l’intera mole del Campanile e illuminano a giorno la piazza, poi tra sbuffi di fuoco e scoppi si accende la croce in cima al campanile (posta a 75 metri di altezza da abili tecnici e con non pochi pericoli) e mentre infuria l’incendio, una stella luminosa va a prendere l’immagine della Madonna, che, salendo verso il campanile, doma e spegne le fiamme
E così, ogni anno, in ricordo di quei tempi bui, la sera che precede la ricorrenza della Madonna del Carmine, la facciata della basilica si accende di mille colori e il campanile prende fuoco, in una ricorrenza a metà strada tra il sacro e il profano, evento tipico affinché i turisti che visitano Napoli, possano capire una delle essenze popolari partenopee.
Alla fine l’incendio si estingue tra gli applausi entusiasti della folla di fedeli e il ritmo frenetico delle tammorre.
Il giorno dopo, piazza del Carmine, diventa teatro di una solenne messa celebrata dal cardinale di Napoli.