Al termine del rito abbreviato, il giudice di Salerno, Elisabetta Boccassini, ha condannato all’ergastolo Carmine Campanella e Angelo Nolè, ritenendoli responsabili dell’omicidio dei coniugi Gianfredi.
Sono loro i killer di Pinuccio Gianfredi e della moglie Patrizia Santarsiero: i vertici del clan che voleva sovvertire gli equilibri della mala lucana. Il potentino Antonio Cossidente, il suo braccio destro Carmine Campanella, il filianese Angelo Nolé e il melfitano Alessandro D’Amato.
Lo ha deciso il gup di Salerno, Elisabetta Boccassini, la quale ha emesso il verdetto sulle accuse per il duplice omicidio che il 29 aprile del 1997 ha sconvolto Potenza: una tranquilla città di provincia colpita da un agguato di stampo mafioso, consumato davanti agli occhi dei due figli della coppia.
I coniugi Gianfredi, Giuseppe (di 39 anni) e sua moglie, Patrizia (32), furono uccisi nella serata del 29 aprile 1997 a colpi di fucile in via Livorno, una zona residenziale della città, mentre stavano facendo ritorno a casa.
Il fascicolo fu trasferito da Potenza alla Dda di Salerno, in relazione alle dichiarazioni di un pentito che accusò il marito di un magistrato potentino di essere il mandante del duplice omicidio, nell’ambito di un’inchiesta che cercava di far luce sulle attività di clan locali. Le accuse del pentito non trovarono però nessun riscontro.
Diciotto anni dopo è arrivata la prima condanna per uno degli esecutori materiali: Alessandro D’Amato (44), che nell’estate del 2010 ha confessato questo e altri 4 omicidi collegati alla faida tra i clan del Vulture. D’Amato dovrà scontare 16 anni di carcere, invece dell’ergastolo che era stato chiesto dall’accusa, per i benefici della sua collaborazione e della scelta del rito abbreviato.
L’accusa ha chiesto il massimo della pena per Alessandro D’Amato (uno dei presunti sicari, da diversi anni collaboratore di giustizia), Antonio Cossidente (altro collaboratore di giustizia e ritenuto la mente dell’agguato di Parco Aurora), Carmine Campanella e Angelo Nolè (i presunti organizzatori). Tutti e quattro hanno optato per il rito abbreviato, ma in questo caso lo sconto di pena per il rito alternativo equivale all’esclusione dell’isolamento diurno.
La svolta nelle indagini era arrivata lo scorso 26 febbraio, quando finirono in manette Giovanni Luigi Cosentino, 59 anni, leader storico dei Basilischi diventato negli anni scorsi collaboratore di giustizia (la sua posizione è stata stralciata per la scelta del rito ordinario), Saverio Riviezzi, 50 anni, considerato alla guida della famiglia pignolese della cosiddetta Quinta Mafia (per lui il pm ha chiesto il non luogo a procedere) e Carmine Campanella.
Il difensore di Campanella, Gianfranco Robilotta, ha espresso la sua contrarietà anche sulla gradazione delle pene, un punto su cui si è mostrato perplesso anche il legale di parte civile, Gianpaolo Carretta, che ha assistito il fratello di Patrizia Santarsiero.
«Dopo 18 anni – ha dichiarato l’avvocato esprimendo grande soddisfazione – c’è finalmente una sentenza su uno dei fatti di sangue più cruenti che ha sconvolto la città di potenza, anche per le sue dinamiche data la presenza dei figli minorenni delle vittime rimasti illesi soltanto per circostanze fortuite». Ad ogni buon conto ha precisato che la famiglia Santarsiero non ha intenzione di avanzare una richiesta di risarcimento danni all’esito del giudizio definitivo. «L’unico scopo della nostra presenza è stato sempre e soltanto l’accertamento della verità».