Storie d’insulsa ed ordinaria follia.
Storie che la mente tende a rigettare, attivando un consolidato meccanismo di protezione e difesa che induce a radicare in realtà lontane dal nostro mondo le barbarie più cruente che l’indole umana si rivela capace di riversare verso suoi simili.
Sorpreso dai rapinatori in casa, minacciato con una pistola, picchiato, seviziato con una roncola e costretto a stare seduto per ore su una sedia, legato mani e piedi e imbavagliato con nastro adesivo da imballaggio: non è accaduto in un “altro mondo”, ma in una realtà vicina ed affine alle nostre vite.
Questo è quanto ha vissuto e ciò a cui è sopravvissuto, lo scorso 8 giugno, un 56enne di Varcaturo.
I due rapinatori, si sono introdotti con l’inganno nella casetta di campagna nella quale la vittima abitava, erano a caccia delle sue armi, regolarmente dichiarate, e dei suoi beni. I due, però, ignoravano che l’uomo non deteneva più in casa i sua pistola e i 6 fucili: la vittima è stata torturata fino allo stremo dai due aguzzini, per ottenere indicazioni sul nascondiglio delle armi. Riuscito a liberarsi, dopo alcune ore, l’uomo ha chiesto aiuto al 112 riuscendo, a malapena, a fornire le indicazioni necessarie per raggiungerlo, prestargli aiuto e soccorso ed avviare le prime indagini.
I carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Napoli hanno identificato e poi sottoposto a fermo due persone: si tratta di Giovanni Simeoli, 40 anni, residente nel vicino comune di Marano di Napoli, ritenuto vicino al clan camorristico dei “Polverino” operante nell’area a Nord di Napoli; e di Luigi Vallefuoco, 55 anni, ritenuto suo complice, residente a Napoli, che, secondo i militari, ha svolto il ruolo di basista malgrado fosse agli arresti domiciliari. In casa di Simeoli, nascosta in una dispensa, è stata trovata una pistola risultata rubata nel Napoletano lo scorso due giugno. I militari sono riusciti a ricostruire i ruoli di entrambi gli indagati e sequestrare alcuni degli strumenti di tortura usati dai malfattori.
Simeoli e Vallefuoco sono accusati di rapina con sequestro di persona. Reati che si sporcano dell’ulteriore aggravante d’aver agito con sevizie e crudeltà.
“Mi hanno imbavagliato, non ce la faccio più, sono stato legato per 2-3-4 ore”. “Adesso finalmente mi sono liberato…”: sono alcuni degli stralci della conversazione telefonica avvenuta tra il 56enne vittima di quest’autentico incubo e l’operatore del 112 che ne ha accolto la richiesta di soccorso.
“Dove siete”, gli chiede l’operatore: “Non ce la faccio a dire dove sono“, replica l’uomo.
“Chi l’ha legata, quanti erano“, incalza l’operatore. “Non ce la faccio, non ce la faccio…”, risponde il 56enne. “Ditemi dove siete, vi mando carabinieri e ambulanza”, insiste l’operatore.
“Non mi ricordo dove abito, esattamente, …a fianco alle discarica ‘delle sette cainate’. Sono entrati due, con due pistole in mano. Mi chiedevano le armi, le armi, i soldi, e i soldi, ma io non ne avevo perché le armi non ce l’avevo più. Mi hanno legato mani e piedi a una sedia, per tante ore. Avevo solo 20 euro nel portafogli, gli ho detto prendetevi quello, e loro mi torturavano perché volevano sapere dove tenevo nascoste le armi”.
I due erano ben vestiti e sono entrati in casa della vittima con una scusa: hanno chiesto un bicchiere d’acqua. L’uomo li ha fatti entrare. Appena entrati nell’abitazione gli hanno puntato le pistole in faccia.