Stanotte alle 3,13 è cominciato ufficialmente il Ramadan 2015.
Il Ramadan è di fatto, il mese sacro dei musulmani, durante il quale l’astinenza e la preghiera, rappresentano i cardini portanti del credo Islamico.
Per astinenza si intende il privarsi in maniera totale, dall’alba al tramonto, dal mangiare, dal bere, dal fumare e dal praticare sesso.
Il significato spirituale del digiuno è stato analizzato da molti teologi. Si attribuisce ad esempio al digiuno la dote di insegnare all’uomo l’autodisciplina, l’appartenenza a una comunità, la pazienza e l’amore per Dio. Un’altra interpretazione è che il digiuno ricordi al praticante le privazioni dei poveri, un’altra ancora, la più gettonata, rappresenta semplicemente la purificazione del metabolismo e del fisico, dalle scorie accumulate durante l’anno.
Gli orari dipendono dal luogo dove si abita, a Napoli, come abbiamo detto, è cominciato alle 3,13.
La comunità islamica napoletana, si è molto estesa negli ultimi anni, incrementata sicuramente dalla forte immigrazione, ma ancora di più, dai matrimoni misti e dalla conversione di molti partenopei.
La loro integrazione nel contesto sociale, è forse una delle più riuscite in tutta la penisola italiana. Il popolo partenopeo, per natura, ha un senso dell’ospitalità molto forte, ma ancora di più lo spirito di adattamento. Se fino a qualche anno fa, il musulmano era visto con preoccupazione e timore, oggi le relazioni fra le due etnie rientrano nel “normale” tran tran giornaliero. Non è difficile vedere un arabo e un napoletano seduti al bar mentre discutono di affari mentre i loro figli tirano qualche calcio ad un pallone improvvisato per strada, così come non è difficile vedere una donna tunisina che indossa il velo, passeggiare al mercato della frutta, sottobraccio della vicina di casa napoletana. Tutto nella norma a testimonianza della grande eterogeneità della società partenopea moderna.
Ma non è tutto oro quello che luccica e non tutto è facile come sembra.
Le difficoltà maggiori per la comunità islamica, si presentano quando si tratta di rispettare le tradizioni e il Ramadan, con le sue regole e i suoi precetti, diventa una vera e propria sfida.
Per chi ha viaggiato nei paesi islamici nel periodo del Ramadan, ha potuto constatare di persona, l’adesione di massa di tutto il popolo che lo ha ospitato. Durante le ore diurne, le attività commerciali, i bar, i ristoranti e persino i negozi di alimentari, sono chiusi, d’altra parte sarebbe inutile tenerli aperti visto che non servono. Per le strade il vuoto e il silenzio è quasi spettrale, tutti sono rintanati nelle proprie case, aspettando che passino in fretta le ore che li separano dal tramonto, momento in cui potranno di nuovo risorgere dai loro giacigli. Anche le ore lavorative sono ridotte, tranne per quelle attività dove è richiesta la presenza 24 su 24, come gli ospedali e le strutture sanitarie.
Poi, circa due ore prima del momento tanto atteso, si assiste ad un lento e progressivo risveglio della vita: i bambini escono in strada per correre e giocare, le donne scendono al mercato per comprare frutta e verdure che serviranno a preparare la lauta cena, le saracinesche dei bar stridono mentre vengono alzate, tavolini e sedie ricompaiono sui marciapiedi in attesa di ospitare gli avventori e tutto ritorna alla normalità, fino all’alba.
A Napoli, così come in tutti i paesi non islamici, è naturalmente tutto l’inverso.
Il musulmano che vive a Napoli e che rispetta comunque i precetti del Ramadan, dovrebbe essere considerato un eroe.
In nessun caso, troverà un datore di lavoro che gli conceda la possibilità di lavorare meno ore al giorno durante il mese sacro, sarà affiancato da colleghi che mangiano, bevono e fumano liberamente in sua presenza e non troverà negozi aperti dopo le 20.00.
Ma le difficoltà non sono solo queste.
La religione islamica, vieta il consumo di alcool e di carne suina, il musulmano non potrà mai acquistare una sfogliatella di Pintauro, la piccola pasticceria di Scaturchio o i taralli mandorle e pepe di Leopoldo, così come sarà costretto a leggere sempre gli ingredienti di qualsiasi pietanza decida di comprare al supermercato. Nella dieta mediterranea e soprattutto nella cucina napoletana, la presenza di liquori e strutto, sono alla base della gastronomia.
Stesse difficoltà, le incontrano per acquistare la carne. Nelle macellerie tradizionali, l’affettatrice e il coltello usato per tagliare il salame e la lonza di maiale, vengono usati per i tagli di carne bovina o per il pollame. In più, il metodo di macellazione italiano, non rispetta, chiaramente, il metodo di macellazione previsto dalla cultura islamica. Non essendo quindi, carne Halall, i musulmani non potranno mai servirsi delle tante macellerie di Napoli.
Ma i musulmani, proprio come i napoletani, sanno adattarsi ad ogni inconveniente.
Negli ultimi anni, visto l’incremento della comunità islamica, alcuni di essi, hanno aperto, soprattutto nella zona intorno alla Stazione centrale, molte “macellerie musulmane“, dove, oltre a trovare la carne Halall, si possono acquistare tutti i prodotti alimentari.
In definitiva dei mini market in cui, non si è costretti a leggere gli ingredienti sulle confezioni e dove si possono trovare anche prodotti tipici della terra natia da cui provengono: spezie, datteri al naturale, couss-couss fatto in casa, pane arabo e i dolci tradizionali.
L’ultima, ma non meno importante difficoltà che si trovano ad affrontare tutti i musulmani , è la mancanza quasi totale dei luoghi di culto.
Le moschee, sono pochissime in tutto il territorio campano, piccole e quasi sempre nascoste. In genere sono situate nei palazzi, piano terra e scantinato, di dimensioni troppo ridotte per ospitare nei giorni di preghiera, l’intera comunità islamica del quartiere e della città.
Le bellissime strutture architettoniche, finemente decorate con maioliche e stucchi di alto livello artistico, che vediamo nei documentari, sono ben lungi dall’essere paragonate, alle piccole e modeste stanze delle moschee napoletane.
E qui il discorso, prende una piega lunga e controversa.
I permessi per la costruzione di un luogo di culto islamico, alla luce del sole, che tra l’altro renderebbe la zona designata di grande valore culturale e artistico, non sono stati ancora accordati. Forse l’idea fa ancora troppo paura, la Moschea a tutt’oggi, viene vista come la sede dove si concentrano i focolai per gli esponenti del terrorismo, a discapito di quanti, ne farebbero solo ed esclusivamente, un luogo di preghiera e di indottrinamento del Corano. Proprio come nelle chiese cristiane, dove si ascolta la messa e si frequenta il catechismo.
Quali che siano le motivazioni, quello che è certo, è che la comunità islamica partenopea, è diventata una realtà perfettamente integrata negli strati sociali della città, il rispetto che nutrono i musulmani nei confronti di Napoli e dei suoi abitanti, ha fatto si, che si potesse costruire una pacifica e serena convivenza tra le due etnie.
Ci auguriamo che questo possa essere di esempio, per tutte quelle città, in cui i termini, razzismo e tolleranza, si scontrano ancora.