Lazzari e Scugnizzi, nomi diversi in epoche diverse, per indicare lo stesso anelito di libertà, lo stesso amore viscerale per la propria città, Napoli.
Ma se di diverso, avevano il nome e l’epoca in cui sono vissuti, in comune avevano tanto altro: lo sprezzo del pericolo, la quotidiana vita difficile e stentata, la voglia di sorridere sempre e comunque, il giocare con le proprie vite incuranti delle difficoltà, l’eterna rassegnazione di chi non ha nulla da perdere e che spesso porta a morire da Eroi.
Qualcuno scrisse che per merito loro, Napoli resta una città in perenne credito con la storia.
Ma è un credito che per molto tempo nessuno ha voluto pagare, a cominciare dagli storici di professione ai benpensanti.
Lazzari e Scugnizzi forse non meritavano di essere ricordati, le loro regole di vita, troppo eccessive, troppo pane, amore e fantasia, troppo al di sopra e al di fuori dei canoni della normalità, non classificabili con gli usuali schemi mentali, non rientravano per questo, nella dottrina del perbenismo di storici e personaggi illustri e a nulla valse il sacrificio delle loro vite per salvare, in più di un’occasione, la tanto amata patria partenopea.
Prendiamo i Lazzari per esempio.
Quando ai principi di gennaio 1799 il generale francese Championnet, con la sua armata, è alle porte di Napoli, mentre altri fuggono, i lazzari si mobilitano spontaneamente. Avanguardia combattente di questo popolo immenso sono circa 60.000.
Considerati anarchici per il loro modo di vivere libertario e comunitario, essi non sono né corte dei miracoli, né pezzenti, né tanto meno camorra. La loro vera forza sta nell’essere al di sopra di tutte le esigenze sociali. Essi vivono del nulla, e da questo nulla traggono appunto la loro forza. Consapevoli di ciò, si godono ogni giorno lo spettacolo della vita, pronti ad impadronirsi dei giorni di festa della città, così come dei suoi giorni di guerra. Essi dunque vivono del niente e forse per questo, di lì a poco, sapranno morire alla grande nella difesa della loro Napoli.
Essi si considerano i fedelissimi difensori del Trono e dell’Altare. E non soltanto a parole. Quando tutti diserteranno, essi saranno ancora lì, a morire testardamente p’ ‘o Rre e pe’ San Gennaro.
Gli Scugnizzi.
Se la vita dello Scugnizzo, tra fame e miseria, era piuttosto complicata, la nascita della parola “scugnizzo” è altrettanto complessa.
Il termine Scugnizzo deriva dal verbo “scugnare” cioè scalfire. Quello che andava scalfito era lo strummolo: una rudimentale trottola di legno dotata di una punta di ferro, il perno sul quale la trottola, abilmente manovrata, girava.
Lo sfizio dei ragazzini ” ‘e miez’a via” era quello di “scugnare“, ovvero di scheggiare lo strummolo degli altri, con la punta di ferro del proprio. Da qui, “Scugnizzi.”
Lacero, vestito di stracci, cresciuto praticamente in strada: dal basso in cui abita alla pubblica via, è un passo. Lo scugnizzo è un impunito: di punizioni non gliene danno i genitori, che di fatto non se ne occupano, né gli insegnanti, a scuola non ci va.
La sua maestra di vita è la strada: con le sue durezze, ma pure con le sue grandi opportunità. Sempre in giro, dalla mattina alla sera, lo scugnizzo diverte, e si diverte: sa usare la mano e la lingua, e si serve di entrambe con generosità.
Lo scugnizzo dei tempi di guerra era superlativo: piccolissimo, magrissimo, furbissimo. E prontissimo a vendere agli altri scugnizzi i militari americani arrivati a Napoli.
E anche in questo caso, come per i Lazzari, fu proprio la loro vita fatta di niente, a dare loro la forza, l’astuzia e l’arguzia, di liberare Napoli dall’invasore.
Bombardata e straziata prima dagli Alleati, messa poi sotto assedio dai tedeschi, all’indomani l’8 settembre del ’43, Napoli vive la terribile stagione del coprifuoco, dei rastrellamenti, delle esecuzioni sommarie, dei saccheggi e delle deportazioni in Germania. Anche Napoli avrà il suo feldmaresciallo Radetzky (quello delle “Cinque giornate di Milano”) nel colonnello delle SS Walter Scholl. Un nazista doc. Più che un militare un criminale di guerra.
E in quel contesto di repressione, di violenze, di miseria e rabbia che scatta una reazione spontanea dei napoletani contro il Tedesco e il sodale camerata fascista.
Il moto insurrezionale appare come una vera sorpresa per i tedeschi e per gli stessi alleati angloamericani, che consideravano i napoletani incapaci di ribellarsi.
La scintilla scoppia al Vomero e poi si distende in un crescendo nei diversi quartieri partenopei. Uomini, donne e bambini, assieme a militari ribelli si uniscono per cacciare repubblichini e tedeschi.
In prima fila ci sono gli indomabili scugnizzi napoletani protagonisti di incredibili atti e colpi di mano.
Dopo quattro giorni di scontri di grande durezza, il criminale colonnello Scholl con le sue truppe assassine è costretto ad abbandonare la città lasciando dietro di sé sangue e macerie: ma Napoli è finalmente libera. E’ il 1° ottobre del 1943.
Nel 1989, il grande e indimenticato Nanny Loy, diresse la regia di un capolavoro tutto partenopeo: Scugnizzi, nel quale si intrecciano le vite di tanti piccoli “guagliun ‘e miez’a via“.