Mauro Merlino è un uomo qualunque, un italiano qualunque: un padre di famiglia che cerca di educare e crescere i suoi figli in maniera sana, onesta, dignitosa.
Mauro Merlino è un disoccupato, uno dei tanti italiani indignati, esasperati dalla crisi, quindi stanco di mordere stenti e rinunce e che, pertanto, sente il bisogno di dire la sua, esternando i suoi pensieri, in maniera civile e pacata, davanti ad una videocamera per registrare video da condividere con il popolo di internet. Di “liberi pensatori” che riversano “civile malcontento” sul web, sotto forma di video che “stranamente” macinano cospicui numeri, in termini di consensi, condivisioni e visualizzazioni, ne è piena la rete.
Tuttavia, il video pubblicato e che ha “incriminato” Mauro, comunque vada, ha già sancito un punto di non ritorno: un video della durata di 47 secondi, rimosso dal web e sanzionato con una querela da un “signor colosso” come Equitalia.
Già, Attilio Befera ha querelato Mauro, reo di aver asserito che “Equitalia andrebbe denunciata per istigazione al suicidio”. Un’affermazione avvalorata da un dato statistico oggettivo: oltre 500 morti suicide all’attivo associate all’esasperante impossibilità di risanare debiti sempre più onerosi.
Si tratta, tra l’altro, di una frase brevettata da altri e più volte ripresa anche da politici e personaggi pubblici, ma che mai, prima di quel momento, si era rivelata in grado di sortire una replica tanto drastica quanto surreale.
Mauro è tutt’altro che un facinoroso, si definisce “il figlio naturale di Gandhi”, manifesta, da sempre, solidarietà e vicinanza alle famiglie delle vittime di quel circolo vizioso che s’innesca allorquando un uomo qualunque si toglie la vita, dopo aver subito, ancor prima, quell’asfissiante impiccagione infertagli dai debiti. Mauro con ancor più sensibile ed accorata pacatezza esprime i suoi pensieri, liberamente e civilmente, attraverso dei video che pubblica in rete.
“Non urlo, non dico parolacce, – racconta Mauro – non m’infilo un passamontagna per andare a spaccare le vetrine delle banche, né intendo dissolvere la mia disperazione attaccandomi una corda al collo. Percorro sempre e da sempre la strada della legalità e della protesta civile. Esprimo i miei pensieri, per dare voce anche a chi non ha la forza di fare lo stesso, affinché, attraverso i miei video, possa trovare quell’appiglio al quale è necessario aggrapparsi per non sentirsi soli e disperati.
Non sono tra coloro che sostengono che le tasse non andrebbero pagate. Sono per la politica giusta che tuteli gli italiani, elargendo dai nostri portafogli somme adeguate e sostenibili. I miei video rappresentano una forma di sfogo attraverso il quale auspico di perseguire l’insorgere di una forma di dialogo tra “noi e loro”.
In quel video, Befera e il suo avvocato, non sono stati menzionati, non riesco a capire come né perché si sono sentiti chiamati in causa fino al punto di avviare un’azione legale per chiedermi il risarcimento dei danni. Ragion per cui, ci ritroveremo a dibatterne in un’aula di tribunale il prossimo 28 settembre.
Come si può rilevare nelle parole di un semplice cittadino il potere di far vacillare la forza e l’egemonia di un Ente che troneggia in maniera tanto autorevole sulle nostre vite?
La mia vicenda appare ancor più assurda se si pensa alle ben più cruente e vibrsntinproteste attuate contro Equitalia, anche con tanto di feretro e manifesto funebre dedicatogli. È chiaro che sono un capro espiatorio, un campione prelevato per infliggere una punizione esemplare, affinché sia chiaro a noi tutti che l’irriverenza insita nell’esprimere un pensiero che può remare contro i poteri forti che dominano il nostro Paese deve essere considerato un errore.
Di contro, questa triste ed inverosimile vicenda, ha permesso ad “un’altra Italia” di emergere in tutta la sua solidale e coercitiva forza: sto ricevendo messaggi ed attestati di vicinanza da tantissime persone. Da Bergamo si è fatto avanti un avvocato esperto in materia, disposto a difendermi rinunciando agli onorari e che ha saputo compenetrare nella mia vicenda palesando un’umanità ammirevole. Uno studio grafico di Alessandria, inoltre, gratuitamente, sta stampando magliette e volantini solidali. E che un’azienda si mostri disposta ad investire tempo, macchinari e materiale solo per supportare una causa, in un momento storico critico per le piccole e medie imprese, dimostra lo spirito di coesione del nostro popolo che, al cospetto delle vicissitudini, sa fare squadra, rivelando la vera forza dell’anima di questo Paese che potrebbe e dovrebbe risalire la china ricercando proprio in questo sentimento di solidale e complice fusione, i tassello dal quale ripartire. Siamo un popolo che ha un po’ smarrito la propria identità, per effetto dell’operato dei politici, unitamente ad un atteggiamento di rinunciataria e sommessa rassegnazione, diffusosi a macchia d’olio tra la gente comune.
Avrei voluto ricevere da parte dei media la stessa solidarietà che hanno manifestato a Charlie Hebdo, ma la libertà di stampa e la libertà d’espressione, sempre più di rado, viaggiano di pari passo. Tutti, proprio tutti, si sono dimostrati abili e capaci di aderire alla moda dettata da quella circostanza, sbandierando lo “slogan del momento”: “Je suis Charlie”, ma dov’è finito, al cospetto della mia vicenda, questo stesso desiderio di rivalsa della libertà di pensiero?
La mia, ormai, non è più una battaglia contro soprusi e tasse, ma contro le ingiustizie. Questa vicenda, inoltre, mi permette di lanciare un messaggio ancor più eloquente a chi si trova mia stessa condizione. Un messaggio più lungimirante che auspica ad una condotta civile e pacata, saldamente ancorata sulla forza delle idee, affinché i nostri valori ed ideali non vengano incancreniti dalla loro cattiveria. Il 28 settembre, in quell’aula di tribunale, andrò a dire la mia, perché vorrò dare un esempio di dignità e giustizia ai miei figli; a dispetto delle telefonate anonime ricevute in questi mesi che mi intimavano di farla finita, non ho paura, so che la storia e la costituzione italiana sono dalla mia parte e mi danno ragione: la libertà d’espressione non può e non deve essere punita, diversamente, dovremo tutti prendere coscienza del fatto che siamo tornati sotto il regime della dittatura. Certo, non posso essere sereno, da quando ho ricevuto quella querela, i pensieri mi tormentano, ma intendo combattere nel rispetto e nel nome dei miei ideali e di quelli di coloro che li condividono, fino alla fine.”
Mauro Merlino potrei essere io, piuttosto che tu.
Mauro Merlino è un “signor nessuno” che rispecchia la condizione di chiunque non benefici di un posto a sedere nella “stanza dei bottoni”. Mauro Merlino è un “Davide contro Golia” dei nostri tempi e spetterà ad un giudice stabilire se il nostro “moderno eroe comune” abbraccerà la stessa gloriosa sorte del piccolo pastorello che riuscì ad avere la meglio sul temibile gigante o se quest’ultimo – nel suo caso travestito da ente – andrà ad aggravare la sua, di per sé, tutt’altro che agiata condizione.
Mauro Merlino è un libero pensatore che rischia di finire dietro le sbarre, piuttosto che ridotto all’osso della sua già flebile condizione, solo perché ha detto, davanti ad una telecamera, quello che sente, che pensa.
O meglio, che sentiamo, che pensiamo.
Perché il suo è un pensiero condiviso.
Da me, da te, da tanti, troppi italiani. La domanda che dobbiamo porci non è perché deve essere lui a pagare, ma, piuttosto: perché, in uno Stato in cui vige la democrazia, un libero cittadino deve essere condannato per aver detto quello che pensa?
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