“Se un giocatore intenzionalmente sgambetta o trattiene un giocatore avversario oppure colpisce deliberatamente la palla con la mano al di qua della linea distante 12 yards dalla linea di porta, l’arbitro, anche su richiesta, potrà concedere alla squadra che ha subìto il fallo un calcio di rigore (letteralmente penalty kick)…”.
Questo l’incipit della regola che suggella il calcio di rigore, introdotta il 2 giugno 1891 a Glasgow nel corso della riunione dell’International Football Association Board, l’organismo che dal 1886 può modificare il Regolamento di Gioco del calcio.
Il calcio di rigore festeggia uno dei suoi compleanni più amari all’ombra del Vesuvio, in virtù di quel penalty clamorosamente fallito meno di 24 ore fa da Gonzalo Higuain, il cui esito positivo avrebbe potuto mutare le sorti di un’intera stagione calcistica.
Invero, da quel 2 giugno di oltre un secolo fa, il calcio di rigore è tra i fondamentali del calcio che con maggiore e perentoria incidenza ha saputo rivelarsi “risolutivo” decretando verdetti insindacabili.
Per capire quanto la suddetta affermazione trovi riscontro nella realtà, basta andare a ritroso nel tempo per ripercorrere tutte le partite decise dai calci di rigore. Durante le finali dei mondiali, piuttosto che dei campionati internazionali, le esecuzioni dal dischetto ricoprono, sempre più spesso, un ruolo di indiscutibile rilievo.
Paradossalmente, il momento più alto e quello più basso della stagione calcistica degli azzurri, trova nel calcio di rigore la sua massima espressione: da quello che ha sancito la vittoria della Supercoppa italiana nella notte magica di Doha, a quello fallito da Higuain durante l’ultima gara al San Paolo, quella che verrà archiviata nel triste mantello del beffardo rimpianto peculiare di quello che poteva essere e non è stato.
Quindi, caro calcio di rigore, non ti crucciare se quest’anno non ti giungerà una cartolina di auguri da Napoli…