Eppure, è un giorno in cui Napoli piange sentite lacrime azzurre.
È morto Bruno Pesaola, “il Petisso” azzurro.
Baluardo, icona e detentore di quei valori peculiari del calcio in bianco e nero, quello crudo, ma genuino, pregno di falli da tergo e scevro di orpelli e fronzoli, più tradizionale e meno “moderno”.
Chi è stato Pesaola e cosa ha rappresentato per la storia del calcio ed ancor più per quella del Napoli lo raccontano i palmarès, gli almanacchi del pallone e i numeri legati alla sua carriera.
Uno dei primi argentini adottati da Napoli, un figlio natio di una terra lontana, eppur così vicina nelle vicissitudini, nei sentimenti e nella voglia di vivere alla nostra Napoli.
Per il Petisso, così come per tanti altri argentini, approdati all’ombra del Vesuvio dopo di lui, Napoli è stata, è e sarà in eterno una seconda casa.
Un uomo di calcio, un uomo vero, legato all’essenza più salubre e primitiva del calcio, taciturno, ma lungimirante, d’animo buono, schietto, perennemente accompagnato da una fumante sigaretta stretta tra le dita. Già, il Petisso era un fumatore incallito: le sigarette e il calcio, i due vizi dei quali non ha mai saputo privarsi.
È volato via così Pesaola, a poche ore di distanza dal termine del campionato, una manciata di emozioni prima del fischio d’inizio cruciale, in un giorno di maggio qualunque, all’età di 89 anni, per andare ad occupare il posto d’onore conquistato tra gli Olimpi degli dei del calcio nel corso delle sue acclamate gesta terrene.