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La guerra e la speranza: ‘O surdato ‘nnammurato

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
27 Maggio, 2015
in In evidenza, Musica
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S00046201_smSui giornali del 1915, si leggeva di avanzate e di vittorie, qualche riga nera della censura e di vittime di guerra neanche l’ombra.

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Però c’erano e anche tante.

‘O surdato ‘nnammurato, nasce molto probabilmente, ispirata dalla lettera di un soldato inviata dal fronte alla sua amata.

Gli orrori della guerra, le inutili stragi, le mutilazioni dovute alle bombe, sono una realtà comune a tutte le guerre, che Aniello Califano, autore della canzone, l’abbia scritta durante la prima guerra mondiale, è solo un caso, l’universalità del testo la colloca in uno spazio senza tempo, ovunque ci sia una guerra e tanta sofferenza, questo Inno alla Speranza, diventa una sorta di Mantra terapeutico.

Aniello Califano, era un ragazzo di famiglia benestante, che non indossò mai una divisa militare, così come non la indossò mai Enrico Cannio, l’autore della musica.

Si potrebbe pensare che due persone così lontane dalla cruenta realtà della guerra, non potessero capirne l’effettivo peso e le conseguenze, invece la sensibilità dimostrata sia nel valore del testo che nella musicalità ritmata e penetrante, hanno acceso i cuori di quanti, sopraffatti dall’oblio e dalla disperazione, speravano di far presto ritorno a casa e ricominciare una vita normale.

La storia è quella di un soldato al fronte che soffre per la lontananza della donna amata. Sarebbe stato facile per l’autore cedere alla tentazione di vestire quel soldato con panni italiani. E invece no. Nessuna retorica patriottica. Addirittura non ci sono riferimenti neanche a un’epoca precisa.

Non si chiede il soldato perché si trovi lì al fronte né se ciò sia giusto o sbagliato. Potenza dell’amore, per lui la guerra è soltanto l’ostacolo che lo tiene lontano dalla donna di cui è innamorato. Ecco la chiave di lettura della canzone: la guerra come impedimento all’amore.

‘O surdato ‘nnammurato è una canzone straordinariamente colma di speranza. Ci si rende conto di questo ogni volta che si arriva al ritornello.

Oje vita, oje vita mia…Oje core ‘e chistu core…

Si stata ‘o primmo ammore… E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!

Qui avviene una sorta di magia: una piccola parola come “Oje“,  tipicamente napoletana, si aggrappa saldamente ad una lunga nota che preclude la parola successiva “vita“.

È l’apoteosi: la speranza che vince sulla paura, l’amore che vince sulla violenza!

È praticamente impossibile astenersi dal cantare questo ritornello. È come un rito non scritto che si ripete ogni volta: arrivati a questo punto tutti i presenti cominciano a cantare. È straordinario il suo potere aggregativo. Non a caso è la canzone più cantata dai tifosi napoletani allo stadio, diventando col tempo, l’inno della squadra nel Napoli.

hqdefaultMa prima di parlare di questo, argomento tra l’altro molto scottante, visti gli ultimi risvolti, ricordiamo la grande indimenticabile e struggente interpretazione dell’ancora più grande Anna Magnani, nel film la Sciantosa.

Successivamente, Massimo Ranieri diede una sua personale interpretazione di questa canzone; la sua ‘O Surdato ‘nnammurato riscosse un tale successo da poter essere ritenuta, di fatto, come l’interpretazione “ufficiale” di questo brano.

E ora passiamo alle note dolenti.

Pochi conoscono quale sia stato l’evento che ha portato ‘O Surdato ‘nnammurato (o, per la precisione, occorrerebbe dire il suo ripetuto ritornello centrale) a divenire l’inno degli azzurri.

Domenica 7 Dicembre 1975; siamo all’ottava di campionato e il Napoli è solo al secondo posto in classifica, a un solo punto dalla capolista, la solita Juventus. Il calendario prevede a Torino il derby e all’Olimpico Lazio-Napoli.

All’Olimpico accompagnano il Napoli, in una vera e propria migrazione di massa, diverse decine di migliaia di tifosi azzurri; la Curva Nord dell’Olimpico è tutta napoletana, il resto dei settori al 50%.

La partita prosegue tra l’entusiasmo dei tifosi azzurri; a circa 15 minuti dal termine sul tabellone luminoso si vede lampeggiare qualcosa: Torino 1 – Juventus 0! Il Napoli è primo in classifica! L’Olimpico diventa una bolgia, l’entusiasmo è alle stelle.

A questo punto accade il miracolo; un ignoto tifoso azzurro, incomincia ad accennare a ‘Oj vita, oj vita mia…‘; in pochi secondi le decine di migliaia di tifosi azzurri raccolgono l’invito e cantano a squarciagola la vecchia canzone.
Da allora ‘O Surdato ‘nnammurato ha accompagnato il Napoli nei momenti più importanti della sua vita, facendo da colonna sonora alla conquista degli scudetti, degli altri trofei, ed anche alle promozioni per risalire nella massima serie.

‘O Surdato ‘nnammurato è senza alcuna discussione il vero inno del Napoli! I tifosi napoletani sono legatissimi a questa canzone e la cantano a squarciagola ma con grande attenzione e con estrema oculatezza: l’inno è sempre stato cantato solo ed esclusivamente in presenza di una vittoria importante e significativa. I tifosi azzurri, a differenza di quanto accade a Roma dove le due canzoni di Venditti Roma, Roma, Roma e Grazie Roma sono cantate all’inizio ed alla fine di tutte le partite, intonano spontaneamente il ritornello centrale di ‘O Surdato ‘nnammurato solo nelle grandi occasioni.

E il motivo è semplice.

Le partite, quelle importanti, sono come le battaglie dove, per forza di cose, ci saranno vincitori e sconfitti.

Proprio questo stesso inno, cosi altamente rappresentativo della cultura e della gioia napoletana, in più di un occasione, è stato cantato da tutti i tifosi juventini negli incontri Juventus-Napoli, negli ultimi minuti della partita e nel post-partita, registrando anche video che poi sono stati largamente diffusi e in maniera fiera, dagli stessi tifosi della “Vecchia Signora”, sui vari social networks. Questa appropriazione culturale, rappresenta un modello retorico collettivo da stadio, inedito, pregno di una esagerata aggressività, che senza alcun dubbio sarà ripetuto da altre tifoserie, contro i partenopei.

Qui, non si tratta più del piacere della vittoria calcistica sull’altro come affermazione tecnico-tattica sportiva o come valorizzazione del proprio Sé-culturale. Qui è diverso, si tratta di una forma regressiva di sadismo che mira all’umiliazione dei fondamenti identitari della cultura altrui, in questo caso, quella partenopea.

In una nota versione in rete, si ascolta in sottofondo un tifoso juventino affermare rivolgendosi ai partenopei ed alla telecamera: “umiliati fino in fondo“. E quando l’intero stadio si abbiglia di queste espressioni, la forza del messaggio aggressivo diventa fortissima.

Inutile parlare, della buffa e goffa interpretazione canora del pubblico bianconero, costituita in parte dai tanti tifosi di origine napoletana, ma quello che stupisce, è che una tale espressione di “frustrazione identificativa” si estende a tutto lo stadio ed in rete.

I tifosi juventini non capiscono che attraverso “quell’obbrobrio canoro”, teso ad umiliare, esprimono non solo il peso delle loro frustrazioni, ma anche il loro vuoto culturale identificativo e la mancanza di una creatività propositiva di cui la Juventus, avrebbe bisogno. 

Ma i napoletani sanno, che mai nessuno al mondo, potrà privarli della loro tradizione e della loro cultura, ‘O surdato nnammurato, è, e resterà sempre, una creazione dell’anima di due illustri figli di Napoli.

 

Tags: . napoli'O surdato nnammuratoAnna Magnaniazzurricalcioinnomassimo ranieri
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