Napoli è sicuramente una città esoterica e ricca di fascino, i cui misteri, alcuni ancora irrisolti, serpeggiano negli stretti e angusti cunicoli dei sotterranei.
La Napoli sotterranea, è la forza pulsante della Napoli moderna, il luogo dove tutto è nato, origine e nucleo della civiltà partenopea.
La LAES (Libera Associazione Escursionisti Sottosuolo) è un’associazione che si propone di valorizzare e di divulgare la conoscenza del sottosuolo napoletano, che rappresenta uno straordinario patrimonio storico e culturale.
Napoli, unica al mondo, è nata traendo il materiale da costruzione dalle sue stesse viscere. Una città a due livelli dove l’uno dipende dall’altro.
L’associazione, costituita nel 1989, è nata per iniziativa del suo fondatore: Michele Quaranta.
Tutto è iniziato nel giugno del 1979 quando in una cavità sotto un palazzo ai Gradoni di Chiaia si incendiarono tonnellate di segatura e di rifiuti. I vigili del fuoco non riuscendo a domare l’incendio fecero sgomberare tutti i palazzi circostanti. Per giorni cercarono invano un accesso alla cavità in fiamme, fino a quando il futuro primo presidente della LAES segnalò una vecchia scala che era stata murata e che ricordava aver visto da bambino. Venne così trovato il passaggio, spento l’incendio e riscoperto un ricovero antiaereo dimenticato. Questo rifugio capace di ospitare 4000 persone, abbandonato nel periodo postbellico, grazie alla LAES è stato ora ripulito e reso visitabile.
L’unico scopo dell’associazione è quello di far conoscere a quante più persone le origini della città, i vecchi acquedotti, l’Acquedotto della Bolla, di origine greca, l’Acquedotto Augusteo, romano e l’Acquedotto del Carmignano del 1600 e le testimonianze di vita esistenti nel sottosuolo di Napoli.
L’esistenza di Napoli sotterranea è legata alla conformazione morfologica e geologica del territorio partenopeo, composto da roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari.
Le prime trasformazioni della morfologia del territorio, avvenute ad opera dei Greci a partire dal 470 a.C., danno inizio alla crescita di quel mondo affascinante che è la Napoli sotterranea.
Tali trasformazioni sono state dettate da esigenze di approvvigionamento idrico, che ha portato alla creazione di cisterne sotterranee adibite alla raccolta di acque piovane, e dalla necessità di recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici di Neapolis.
Nei secoli successivi l’espansione della città portò alla realizzazione di un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile grazie ad una serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli. Durante il dominio romano l’esistente acquedotto fu ampliato e perfezionato, ma con l’avvento degli Angioini, nel 1266, la città conobbe una grande espansione urbanistica cui, ovviamente corrispose un incremento dell’estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici, confermando una peculiarità di Napoli: quella di essere generata dalle proprie viscere, dove i palazzi sorgono immediatamente sopra la cava che ha fornito il materiale da costruzione.
Ad incidere in maniera determinante sulla sorte del sottosuolo napoletano intervennero, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti che proibivano l’introduzione in città di materiali da costruzione, onde evitare l’espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l’acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di estrazione, che avveniva dall’alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati.
Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l’uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, che ancora è in funzione.
L’ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell’antico acquedotto alle esigenze dei cittadini. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei 436 ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso.
L’allestimento dei ricoveri portò ad un ulteriore frazionamento dell’antico acquedotto.
Finita la guerra, per la mancanza di mezzi di trasporto, quasi tutte le macerie furono scaricate nel sottosuolo, quasi a voler seppellire con esse, anche tutti i ricordi di quel triste periodo. Fino alla fine degli anni ’60 non si è più parlato del sottosuolo, anche se molti continuavano ad utilizzare i pozzi come discariche.
Dal 1968, però, cominciarono a verificarsi alcuni dissesti dovuti essenzialmente a rotture di fogne o perdite del nuovo acquedotto: tali inconvenienti, che in tutte le città del mondo si evidenziano con rigurgiti di liquami in superficie o allagamenti, a Napoli invece, proprio per la presenza del vasto sottosuolo cavo, si palesano con grosse voragini.
Dopo circa 20 anni di scavi e di bonifica, e grazie all’impegno silenzioso e al sacrificio di volontari che, dopo il lavoro, si calavano nelle viscere di Napoli per riportare alla luce un reperto storico di siffatta grandezza – un vero e proprio museo del sottosuolo – oggi è possibile conoscere una pagina inedita della storia di Napoli.