Data da ricordare quella del 23 maggio. Nell’ormai lontano 1992 venne assassinato Giovanni Falcone, uomo e magistrato esemplare. Vittima della mafia, Falcone incarnò il senso della legalità in una Italia collusa dalla malavita.
Con il suo ben pensare e buon agire, Giovanni seminò paura nel mondo dell’illegalità e della violenza. La sua esemplarità divenne il nemico da combattere. Comunicatore coi fatti, Giovanni Falcone pur consapevole di rischiare la vita, perseguì l’intento di abbattere la violenta collusione della malavita.
Onestà, determinazione e coraggio hanno contraddistinto questo magistrato che ha indagato per “mettere le manette” al potere corrotto. Avversato dalla politica negli anni in cui cercava di riportare nel Paese la giustizia, con la sua vita la vittima di Capaci, è diventata esempio luminoso per tutti.
Giovanni Falcone, palermitano di nascita, classe 1939, conosceva bene i meccanismi ipocriti e perversi del potere. Era cresciuto in una terra logorata dalla violenza e dai soprusi e voleva a tutti i costi riscattarla dalla cattiva fama ormai costruita intorno ad essa.
Diplomato al liceo classico, dopo una breve esperienza presso l’Accademia navale di Livorno, Falcone decise di tornare nella città natale per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza e consegue la laurea nel 1961. Il concorso in magistratura gli permise di realizzare il sogno di smascherare l’illegalità.
Fu l’operato di Gaetano Costa, procuratore ucciso per aver chiesto alla magistratura la firma di molti ordini di cattura contro la criminalità statunitense, a ispirare l’attività di Giovanni Falcone, che avvertì l’esigenza di perseguire i reati e le attività di ordine mafioso. Falcone avviò indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano), ricostruendo un quadro complessivo di una “raffica di assoluzioni” illecite di uomini collusi.
Il “pool antimafia” di Falcone e del suo collega-amico Paolo Borsellino, iniziò a far molto rumore nella politica italiana. Falcone accolse l’invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l’interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero. Si aprì così dal marzo 1991 un periodo caratterizzato da una attività intensa nella lotta contro il crimine.
Falcone rese funzionanti i rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. Divenuto procuratore nazionale antimafia, egli dichiarava: “Io Credo che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l’attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia”.
La propositività di Giovanni spaventò e minò la serenità della “cattiva politica” decisa di eliminare dalla radice il problema della lotta all’illegalità. Il 23 maggio 1992, alle 17 e 56, all’altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo fecero saltare in aria l’auto su cui viaggiava il giudice Giovanni Falcone, accompagnato dalla moglie Francesca Morvillo e da tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Due mesi dopo cadde sotto i colpi della mafia anche Paolo Borsellino, ucciso da un’autobomba a Palermo in via D’Amelio. Falcone fu messo a tacere definitivamente. Era troppo ingombrante per essere un uomo normale che in qualità di giudice voleva lottare in prima persona per tutelare il bene comune e liberare la società dai pericoli della mafia. Giovanni è un padre della patria, simbolo della speranza delle generazioni che devono credere in una politica del dovere a tutela del prossimo e non a danno di quest’ultimo.