Nella Napoli del XIX secolo, non c’era traccia del moderno tappezziere; a rispondere alle esigenti richieste della società, ci pensava ‘‘O’ Bannararo”, che, munito di ago e filo, realizzava bandiere e addobbi per usi civili e religiosi.
E così, grazie all’attento lavoro di questo artigiano, le città potevano sfoggiare stemmi, bandiere e tappezzerie; modelli unici, resi preziosi da quegli stessi errori di fabbrica, che oggi sono quasi estinti. Un portentoso antenato che per anni ha sostituito le fredde macchine delle fabbriche, le quali ci ricoprono ormai di quei beni, all’epoca rari e custoditi con estrema cura.
Un’era del consumismo, la nostra, che ha portato quasi all’estinzione dell’artigianato. I colorati mestieri di un tempo, lasciano ormai spazio al bianco e al nero delle pagine dello studio, verso il quale gran parte dei giovani si orienta. Forse una nuova mentalità, forse la crisi, che non permette alle nuove generazioni di investire la propria vita nei proventi di un lavoro artigianale, che trascinano nel baratro lavori come quello del ”Bannararo” o del ‘‘Lutammaro” e tanti altri, quasi del tutto sconosciuti.
Secondo quanto dichiarato da Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani della Provincia di Milano, ”Un altro filone che è in crisi di ricambio generazionale è quello di tutti i mestieri artistici tradizionali. Soprattutto i sarti, le sarte e le ricamatrici. In questo caso si tratta di un problema di immagine, i giovani li considerano mestieri “vecchi”, addirittura superati, di cui un po’ vergognarsi. A molti non piace dire “faccio il sarto”, “l’orafo”, “il cesellatore”. Sembrano attività un po’ fiabesche o museali.”.
Un mondo, quello dell’artigianato, che un tempo, oltre ad essere fonte di guadagno, era espressione di creative capacità, oggi soffocato dai luoghi comuni, che disdegnano i lavori manuali, per professioni ”più degne”.