La comunità cinese in Italia ha assunto in questi ultimi anni una posizione e una rilevanza di notevole entità. La sua sorgente economica risiede nella ristorazione, nel turismo e nella piccola industria specializzata, specialmente del pellame; ma c’è anche un’altra fonte di guadagno che accomuna molti cinesi nel territorio italiano, un business illegale riferito ad una vera e propria criminalità organizzata. Rappresenta un esempio ciò che è accaduto a Prato.
Visto turistico, alloggio e un lavoro: questo è quanto prometteva, al costo di 14mila euro a immigrato, una coppia di coniugi cinesi insieme a un terzo complice ai connazionali che volevano lasciare la patria per venire a vivere in Italia, a Prato.
È quanto emerso da un’indagine della squadra mobile pratese, diretta da Francesco Nannucci, che ha portato ora all’arresto di marito e moglie, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Destinatario della misura anche un terzo orientale che la polizia sta ricercando.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore Antonio Sangermano e dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri, è partita da una violenta rissa scoppiata nell’aprile scorso in un appartamento di via Nistri dove alcuni cinesi rimasero feriti. L’aggressione avvenne a colpi di spranghe e bastoni, e fu ripresa da una telecamera.
Sempre in via Nistri, nell’agosto scorso, invece, ci fu un’altra rissa, ma per strada. Gli investigatori hanno intercettato i telefoni e seguito le mosse della coppia di cinesi, Kaiji Gong di 40 anni e Shulan Sun di 45, fino all’arresto avvenuto il 29 dicembre scorso.
Gli inquirenti hanno accertato che entrambe le risse sono scoppiate per motivi legati al danaro: alcuni cinesi arrivati in Italia tramite la coppia non aveva saldato il debito. Un uomo fu rinchiuso in una stanza dell’appartamento di via Nistri e minacciato se non avesse restituito i soldi.
Negli appartamenti degli arrestati dove la polizia ha fatto irruzione sono stati inoltre trovati 21 cinesi senza documenti: per gli investigatori sarebbero arrivati a Prato dietro pagamento e grazie all’organizzazione messa in piedi dagli indagati.
Il costo del ‘biglietto’ era di 14 mila euro a testa, così è stato appurato grazie alla collaborazione di tre cinesi arrivati a Prato con questo metodo. I due arrestati sono accusati di estorsione aggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sequestro di persona. Per gli inquirenti ci sarebbero altri organizzatori di viaggi dalla Cina a Prato.
«A proposito di vicende criminali correlate alla criminalità cinese – scrive il viceprocuratore della Direzione Nazionale Antimafia Pier Luigi Maria Dell’Osso – vanno menzionati ancora una volta i non sporadici e non occasionali fatti di sequestro di persona a scopo di estorsione all’interno di tale comunità, ossia posti in essere da soggetti della stessa nazionalità ai danni di loro concittadini». Nessuno, secondo la direzione antimafia, arriva in Italia da clandestino di sua iniziativa. Tutti, al contrario, si appoggiano a un’organizzazione che in Italia verrebbe definita di «stampo mafioso». I sequestri nascono proprio in questo contesto: «Molti cinesi restano reclusi all’interno di laboratori di confezioni, in attesa del pagamento del prezzo dell’immigrazione clandestina agli organizzatori della stessa, che mediamente si aggira tra i 10 e i 12 mila euro. Uno spaccato criminale di indubbio interesse investigativo, perché i clandestini risultano sfruttati, gestiti e controllati».
Più in generale, secondo la Direzione nazionale antimafia, tutti i fenomeni criminali legati ai cittadini cinesi, vanno anche inquadrati sociologicamente: la forza della mafia cinese, soprattutto all’estero, sta proprio nella chiusura verso l’esterno nella comunità del Dragone. Bisogna essere sorridenti e saper parlare bene italiano solo quando si è dietro il bancone di un bar, Per il resto tutto il business, «in grado di sviluppare l’elevata capacità imprenditoriale dei cinesi», business che si fonda sui propri connazionali, anche con metodi che gli italiani, definirebbero arcaici: «La comunità sostiene ogni singolo componente, caratteristica che distingue l’etnia cinese dalle altre: in tal senso è sintomatico il ricorso al prestito di denaro sulla semplice fiducia».
In questo quadro la criminalità organizzata ha gioco facile, avendo anche a disposizione una considerevole liquidità di denaro. Ma la storia, anche per i cinesi, si ripete: com’è accaduto già da tempo in Italia ora l’obiettivo è reinvestire in affari legali. Lo dice lo stesso vice procuratore antimafia: «Ai laboratori clandestini stanno subentrando regolari attività commerciali, che tuttavia continuano a sfruttare la manodopera dei connazionali non regolarizzati»