Due extracomunitari, una coppia omosessuale. Due gay, per giunta di colore.
L’apoteosi della perfetta personificazione dello stereotipo ideale da affrancare con etichette ed insulti marcatamente razzisti.
Noncuranti di quello che rappresentano agli occhi dell’intolleranza, ma forti di quello che sono e che orgogliosamente vogliono essere, camminano mano nella mano, lungo il corso Garibaldi, una delle strade più caotiche e diversamente trafficate della città di Napoli. Seguirli a distanza equivale a testare sul campo il tasso di civiltà del territorio nel quale, da anni, sono radicati.
Due storie diverse, partite da due zone diverse del sud Africa, ambedue approdati su uno dei tanto chiacchierati barconi, per affrontare due diversi “viaggi della speranza”, in entrambi i casi terminati a buon fine e che qui, all’ombra del Vesuvio, si sono incrociate fino a fondere il loro cammino in un’unica strada, da percorrere insieme, mano nella mano.
Nell’ordinaria quotidianità che si ripete lungo l’avvicendarsi dei giorni e nel “per sempre” che le loro anime si bisbigliano quando si guardano negli occhi, tutte le volte che si guardano negli occhi.
Entrambi sono perfettamente integrati nella nostra società che è anche la loro: un lavoro d’ufficio per uno, un impiego in un centro di telefonia per l’altro. Convivono in una casa nei pressi di piazza Carlo III, pagano le tasse e le bollette, pianificano vacanze, weekend, viaggi. Una vita rimpinzata dei medesimi onori ed oneri che contraddistinguono le nostre, di italiani nati in Italia, di napoletani nati a Napoli. Di cittadini del mondo che onorano la vita marciando lungo le strade della legalità e del viver civile.
Ma sono due gay. E hanno la pelle “sporca di nero”.
Parlano perfettamente l’italiano, ma seguitano a sbattere il muso contro quegli spocchiosi ed austeri: “Che stai dicendo!? Non ti capisco… Parla meglio!”
C’è perfino chi, animato dall’opinabile e presuntuosa ilarità, gli fa il verso, con il fare convinto e becero di chi crede di attirare simpatia e consensi: “Tu andare a raccogliere banane!”
Vestono abiti “italiani”, ma vengono additati come “straccioni” e “zingari”. E anche peggio. Mangiano la pasta e cucinano piatti italiani, ma neanche questo va bene. Neanche questo piace. Raccontano che, sovente, “la libertà” con la quale vivono il loro amore è stata oggetto di reazioni violente.
A volte, ha generato autentiche aggressioni. Verbali, ma anche fisiche.
Spintoni, sputi, minacce e anche peggio.
A loro ho posto una semplice domanda: cos’è l’omofobia?
Tenendosi per mano, hanno risposto: “Non affannatevi ad utilizzare parole nuove per definire quella che da sempre chiamate “stupidità”!”