La Fiumara di Tusa è il letto di un antico fiume che un tempo lontano scorreva tra i monti Nebrodi per ventuno chilometri fino all’antica Halesa. Un fiume secco, arido, solo d’inverno a carattere torrentizio, in un paesaggio che alterna pietrosa desolazione, a tratti di vegetazione rigogliosa e che laddove ci si inerpichi, offre scorci straordinari tra le montagne ampie e il mare in lontananza. Ed è proprio in quel letto di fiume che nasce LA FIUMARA D’ARTE.
La Fiumana d’arte è un un museo all’aperto costituito da una serie di sculture di artisti contemporanei ubicate lungo gli argini del fiume.
L’idea di Fiumara d’Arte nasce nel 1982 quando, gravato di responsabilità e scosso dalla perdita del padre, Antonio Presti, che già colleziona arte contemporanea, pensa di dedicare un monumento alla memoria del padre e si rivolge allo scultore Pietro Consagra.
Immagina fin da subito di non farne un semplice fatto privato, una stele del proprio giardino, ma di donare la scultura alla collettività, e pensa di collocarla alla foce della fiumara.
L’opera di Pietro Consagra, si intitola La Materia Poteva Non Esserci (1986)
Una grande scultura frontale a due elementi, addossati, paralleli e distinti nei colori bianco e nero, in un delicato equilibrio di pieni e vuoti. Alta 18 metri, è stata realizzata in cemento armato in un contrapposto cromatico, che più delle altre, testimonia il rapporto uomo-ambiente attraverso la razionalità della sua concezione e la leggerezza con cui il cemento armato si fa forma bidimensionale e percorribile. L’opera ci invita a passarci in mezzo, quasi a varcare una porta che porti in un altro tempo che fu quello passato, arcaico. Ci si accorge allora dell’immensità del cielo, sotto il quale la storia scorre da tempo immemorabile: un paravento o un diaframma posto tra la realtà immaginaria
Il progetto muta presto di segno e diventa più ampio. Antonio Presti già immagina di dar vita a un parco di sculture che coniughi il linguaggio contemporaneo all’aspra bellezza dei luoghi.
Presti contatta un altro scultore, Paolo Schiavocampo, al quale commissiona una scultura da porre al bivio tra la strada che porta a Castel di Lucio e una vecchia strada di campagna, e la allega come arredo urbano, da lui finanziato, al progetto di rifacimento stradale di cui è incaricata la sua impresa.
La seconda scultura si intitola Una curva gettata alle spalle del tempo (1988)
L’opera consiste in un monolite di cemento armato e ferro, collocato ai margini di una curva, che si avvolge su se stessa imitando il movimento di una vela battuta dal vento. La sua linea riproduce in verticale la curva della strada, ma, come dice lo stesso artista, essa viene “mossa dal vento silenzioso che sale dal mare“. L’opera posta in uno spazio di campagna, divide la via antica dalla nuova, non isolandosi ma inserendosi nel percorso, come un punto focale. Un punto, quindi, di mistero, che unisce il passato al futuro insieme ai luoghi, la quiete, le cose, le tradizioni.
La terza opera, Monumento per un poeta morto, più nota come la Finestra sul mare, risale al 1989 ed è opera dello scultore Tano Festa.
Conosciuta come la Finestra sul mare, per il chiaro impatto visivo, la scultura, ideata da Tano Festa e dedicata al fratello poeta, è un inno al colore e all’infanzia, temi ricorrenti nelle opere dell’artista. La cornice, alta 18 metri, realizzata in cemento armato ed armatura ferrosa, è il trionfo dell’azzurro, non di quello che vediamo di solito sulla tavolozza di un pittore, ma di quello che c’è nell’animo, quando un poeta-scultore come Tano Festa, che fu insieme adulto e bambino, decide di affacciarsi sull’infinito. Questa enorme finestra che tenta di incorniciare il mare, esprime il senso limitato di una possibilità diversa di fermarsi con il pensiero sull’orizzonte. Ma e’ anche una tensione alla serenità, anch’essa ricercata da Festa, spezzata dal monolite nero, senso finito della nostra esistenza, che “buca” la gioiosa finestra ornata dalle tipiche candide nuvolette ricorrenti nel repertorio dell’artista, interferendo con l’armonia dell’opera.
Fra il 1989 e il 1990 vennero collocate altre quattro opere.
Stanza di barca d’oro dell’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa
L’opera è una camera ipogea lucida e nera, da cui si percepiscono appena le voci della natura all’esterno. La barca d’oro è sospesa al soffitto e rovesciata secondo una simbologia giapponese. Il suo albero maestro, di marmo rosso la lega al pavimento. Con spiritualità tutta orientale Hidetochi Nagasawa ha pensato un’opera che, dopo essere stata chiusa alla vista (interrata), avrebbe comunque continuato ad esistere, ricordando all’uomo l’esistenza dello spirito, la forza di essa è nel togliere. E niente è casuale ne “La Stanza di barca d’oro”. Neanche il luogo: scavata nel fianco di una collina e in prossimità di un torrente (nell’antichità l’acqua era ritenuta la strada più sicura per spostarsi), l’opera sottolinea l’idea del viaggio attraverso la barca, che diventa un simbolo di vita e di ciò che c’è al di là di questa. “La Stanza di barca d’oro” è un insieme di suggestioni che attingono a piene mani dall’arte contemporanea, determinando un dialogo così perfetto tra arte e natura che non sarà più necessario vederla. Il ciclo dell’opera di Nagasawa doveva chiudersi il 25 giugno del 1989. Ma “La Stanza” non venne “chiusa” perché secondo il direttore della sezione beni Pau (paesaggistici, architettonici e urbanistici) della soprintendenza di Messina si sarebbe trattato di occultamento del corpo del reato. Così, invece di terminare il suo processo artistico, l’opera ne ha subiti tre in “tribunale”. Per poi essere assolta dalla Corte di Cassazione solo nel 1994. La consegna alla terra e ai cuori de “La Stanza” è avvenuta nel corso di una cerimonia pubblica il 16 giugno 2000. Ai partecipanti di quell’evento resta il compito di testimoniare e raccontare il ciclo dell’arte.
Energia mediterranea di Antonio Di Palma collocata nei pressi di Motta d’Affermo.
Un’onda blu che idealmente lega la montagna al mare, un guizzo di energia in mezzo alla natura selvaggia. L’opera che si esaurisce in poche linee essenziali e si inserisce nella natura contemplandola, è un manto azzurro che sale e poi scende dolcemente, e che nella sua essenzialità sembra un movimento vibrante per uno schizzo di luce cosmica. La scultura non è monumentale nel senso della verticalità, ha piuttosto un rapporto orizzontale e sinuoso di contatto con la natura: una grande onda di cemento blu come gonfiata dal vento, un segno d’acqua solidificato sulla montagna, come quell’orizzonte di mare che si vede in lontananza e la sua materializzazione fisica sul posto che sospende ogni domanda nell’incantamento.
Labirinto di Arianna di Italo Lanfredini situata nei pressi di Castel di Lucio su una bassa collinetta.
La scultura la cui forma è un simbolo archetipo, il labirinto, è un percorso fisico, ma anche interiore, che è impossibile non attraversare tutto una volta entrati. L’opera è collegata al passato, alla cultura classica, alla nascita, ai primi insegnamenti della vita. Attraverso un varco naturale si entra nel labirinto e si esce dal labirinto, così come nel tempo l’uomo è entrato ed uscito dalla scena. Chi entra nel labirinto, si pone domande che riguardano la propria esistenza, in un posto ed in una dimensione a-temporale, in cui è impossibile interrogarsi. Il labirinto è riflessione, è spiritualità che deriva da una sorta di “maternità”, espressa in un dolce concentrico svolgersi di cerchi culminante in una aspirazione all’alto, al sublime. Un viaggio che sembra dentro la terra ma è sotto il cielo, al cui centro è la vita, l’antica sorgente rappresentata da una lucente lastra metallica al centro della spirale, che ci riporta al tema della Madre Terra e del mistero della fecondazione.
Arethusa, opera in ceramica situata nella caserma dei Carabinieri di Castel di Lucio, opera degli artisti Piero Dorazio e Graziano Marini.
Opera decorativa di grande vivacità cromatica unita al rigore formale che, con una esplosione di colori, ha investito e cambiato il volto ad un’architettura militare, la caserma dei Carabinieri di Castel di Lucio, che in genere ha un aspetto anonimo e triste. Un opera dove il colore si nutre di luce con una limpidezza timbrica che rivela la conoscenza di tutto il percorso dell’astrattismo. Alla ceramica policroma gli artisti hanno affidato il ruolo di riscattare il grigiore (e gli abusi) di tante abitazioni dell’edilizia siciliana. L’arte quindi si inserisce e riconquista, nel concetto contemporaneo dell’architettura, un ruolo fondamentale che dovrebbe essere preso ad esempio nella nostra cultura urbana.
Il 21 marzo 2010, dopo due anni e mezzo di lavori, viene inaugurata l’ultima scultura della Fiumara.
La Piramide – 38º parallelo dello scultore Mauro Staccioli
Il sito prescelto per la scultura di Staccioli è una leggera altura del territorio di Motta d’Affermo: un avamposto in quota sul mare e prospiciente gli scavi di Halaesa, le cui coordinate geografiche centrano esattamente la consistenza matematica del 38° parallelo. Nominando la propria opera, l’artista traduce l’astrazione della misura terrestre in creativa percezione metafisica e suggella l’intrinseco legame dell’opera alla geografia del luogo, in perfetta sintonia con la poetica che contraddistingue sin dagli anni sessanta le proprie creazioni. L’opera è un tetraedro titanico cavo realizzato in acciaio corten. Parzialmente sprofondata nel territorio roccioso, presenta una fessura lungo lo spigolo occidentale che rende ancora più preciso il suo collocarsi nella specificità del luogo e nello spazio cosmico. Come un faro introverso, testimone consapevole del ciclico e irreversibile scorrere del tempo, cattura la luce solare attraverso la fessura, registrando nel proprio ventre geometrico i riverberi luminosi dallo zenit al tramonto. Al concetto di immortalità, notoriamente correlato alla piramide faraonica, subentra qui il concetto più responsabile di transitorietà, attraverso il quale l’artista celebra la vita nel suo incessante anelito all’eterno.
Nel corso degli anni la Fiumara d’arte è stata il set di diversi film; fra questi Viaggio clandestino – Vite di santi e di peccatori di Raúl Ruiz.
Ad ottobre 1993 quaranta artisti ceramisti provenienti da tutta Europa realizzarono un’opera collettiva sul muro di contenimento di una delle strade della Fiumara in territorio di Mistretta, che diventa così Il muro della vita.
Artisti ceramisti nazionali e internazionali si sono confrontati con un vecchio muro della strada provinciale Castel di Lucio-Mistretta. La memoria di quell’abuso in cemento è stato trattato con poesia e amore innestando su questa materia, come elemento di trasmutazione, la terracotta, e per suggellare questo patto di devozione alla bellezza, ogni artista ha installato nel muro un opera personale.