Ripresa dalla tradizione popolare e riscritta in un raffinato dialetto napoletano da Giambattista Basile all’inizio del ‘600, La Gatta Cenerentola è una delle forme primitive della notissima Cenerentola di Charles Perrault.
La gatta Cenerentola è il titolo della sesta favola inclusa nella raccolta postuma Lo cunto de li cunti, nota anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate) del Basile e come abbiamo detto, si tratta della fiaba di Cenerentola nella prima versione scritta. Il Basile si ispirò alla tradizione orale campana, riprendendo una delle tante storie di trasformazione, dove la protagonista in certi contesti è una gatta, a volte una gallina, a volte altro, che poi si trasforma in donna.
Le numerose varianti della favola presentano contenuti ben lontani da quelli della Cenerentola che tutti conosciamo, in particolare l’eroina di nome Zezolla, si macchia addirittura dell’omicidio della sua matrigna, che viene però poi sostituita da una nuova matrigna anche peggiore.
L’impatto di Zezolla sul popolo, fu enorme, la “serva” che diventa regina rappresentava il riscatto che tutti agognavano, essa era il popolo stesso che in lei si identificava come rappresentante legittimo del potere.
Inutile dire che al re non diedero alcuna importanza: era un personaggio quasi inesistente, mentre fu nel personaggio femminile, appartenente al proprio ceto sociale, che il popolo si riconobbe.
Non avrebbe potuto riconoscersi in una figura di padre che storicamente era sempre stata l’espressione della guerra, della violenza e della repressione, di cui tutti i popoli avevano sempre dovuto subire l’amara esperienza.
Basile era un gran cultore delle tradizioni napoletane e nella favola ne citò diverse, per esempio la descrizione dei festeggiamenti dati dal re, per trovare la fanciulla che aveva perso lo scarpino, contiene un’interessante testimonianza della cucina napoletana del ‘600, e dimostra la diffusione, già all’epoca, di pastiera e casatiello, piatti tipici della cucina pasquale.
La fiaba di Basile ebbe grande notorietà negli anni Settanta grazie alla fastosa trasposizione teatrale realizzata dalla Nuova compagnia di canto popolare con le musiche e la regia di Roberto de Simone.
Alla base dell’opera di de Simone, ispirata alla fiaba omonima, ci fu il lavoro di ricerca operato dall’autore e dal suo gruppo, nelle tradizioni orali e musicali del Sud Italia. Da un punto di vista musicale l’opera è un sapiente impasto di musica popolare (villanelle, moresche, tammurriate) e musica colta; il testo è in lingua napoletana, come nella fiaba originale, un napoletano quasi senza tempo, una lingua che in certi strati della popolazione è rimasta immutata nei secoli.
La grande protagonista della gatta Cenerentola di de Simone è la città di Napoli, città figliastra, vittima del potere di una matrigna perversa e di occupanti stranieri.
de Simone nella sua trasposizione teatrale, anche se cercò di essere quanto più fedele al testo originario, per esigenze di palcoscenico, apportò alcune modifiche, che resero la fiaba ancora più spettacolare: nella versione di Basile, Zezolla, istigata dalla sua maestra di ricamo, uccide la matrigna chiudendo violentemente il coperchio di una grossa cassapanca sulla sua testa e spezzandole il collo. Il padre di Zezolla sposerà quindi la maestra di ricamo che inserirà nella famiglia le sei sorelle, di cui nessuno era a conoscenza fino ad allora, relegando Zezolla al ruolo di serva e dandole il nome di Gatta Cenerentola. In quella di de Simone, invece, la maestra di ricamo non è presente, mentre Cenerentola cerca, senza riuscirvi, di uccidere la matrigna tentando di chiuderle il coperchio della cassapanca sulla testa. Questa matrigna è la madre delle sei sorellastre invidiose e il ruolo delle fate della Sardegna, a cui si rivolse Zezolla per essere aiutata, è svolto nell’opera di de Simone dal munaciello. Aggiunse inoltre, diversi personaggi non presenti nella fiaba, come le lavandaie, i femmenielli, ed altri ancora.
La prima versione teatrale di de Simone apparve al Festival di Spoleto del ‘ 76 e si avvaleva della presenza di attori e cantanti come Peppe Barra, Isa Danieli e Concetta Barra, negli anni seguenti è stata riproposta più volte, con un cast rinnovato, tra cui il soprano Maria Grazia Schiavo e l’attore Rino Marcelli nel ruolo della matrigna.
Indimenticabile la prima scena del terzo atto, con il canto delle lavandaie: il passaggio graduale dal ritmico e cordiale movimento del lavaggio sulle tavole appoggiate alle tinozze all’invasamento ritmico-corale, al tarantismo finale è, oltre che un magnifico pezzo di teatro uno straordinario lavoro musicale.