Esposito, il cognome più diffuso a Napoli, è strettamente collegato alla Real Casa Santa Dell’Annunziata, alla Ruota degli Esposti e all’antico brefotrofio.
L’origine etimologica del cognome Esposito è di eccezionale interesse storico, in quanto se ne conosce precisamente luogo e data di origine. Esso viene infatti riportato per la prima volta in un documento ufficiale del 1º gennaio 1623.
Il primo Esposito della storia, fu registrato presso l’Ospedale dell’Annunziata, aveva due anni e si chiamava Fabritio.
Fabritio era giunto al brefotrofio dell’Annunziata, attraverso la ruota degli esposti, termine utilizzato per indicare tutti i bambini abbandonati dalle madri e affidati (esposti) alla misericordia della Madonna dell’Annunziata. Da qui il cognome Esposito che trae origine proprio dal termine esposto.
La ruota era un congegno cilindrico, di piccole dimensioni, in legno assai semplice e rudimentale. Il meccanismo era tale da consentire alla madre di mantenere ignota la propria identità, in quanto dall’interno non era possibile visualizzare chi lasciasse il bambino.
La collocazione dei neonati nella Ruota assumeva un valore figurativo poichè il trapasso attraverso il muro per mezzo del cilindro trasformava il bambino in figlio della Madonna ( figli d’ ‘a Madonna ) ed è con questo nome che per secoli furono chiamati gli Esposti dell’Annunziata.
La Ruota ha accolto bambini e bambine con prevalenza per le femmine nate fuori dal matrimonio o pur legittime, ma comunque non sussidiate dai genitori naturali, cui, spesso le proprie condizioni di vita denunciavano afflizioni ed indigenze perpetue, o episodi pregressi di morte per fame in famiglia, o più semplicemente e più spesso, solo per salvare l’onore della famiglia e la reputazione di una donna fanciulla sedotta.
Passerà alla storia del borgo di Forcella anche col termine di buca, per testimoniarne l’uso infamante che se ne è fatto, poiché spesso, l’abbandono avveniva praticamente sotto gli occhi di tutti, al punto tale che questa pratica il più delle volte fu accompagnata da motti ed improperi rivolti alla donna che stava per buttare nella buca il bambino e appena ciò era stato compiuto si procedeva ad una piccola festa di quartiere in onore dell’abbandonato, il quale, a tutti gli effetti giuridici, da quel giorno in poi, portava con sé una seconda data di nascita.
Ai bambini abbandonati e affidati alle cure del brefotrofio, veniva assegnato il merco, una medaglietta di piombo da legare strettamente al collo, che tutti li accomunava e ne suggellava inequivocabilmente il destino.
La ruota funzionò fino al 22 giugno 1875, allorché fu chiusa, ma i bambini continuarono ad essere accolti nel brefotrofio fino al 1980. L’attività della ruota conobbe una sola interruzione, in corrispondenza del decennio francese. Fu allora, infatti, che Gioacchino Murat, considerando quel cognome come un marchio infamante, diede disposizione che i bambini abbandonati non fossero più chiamati Esposito, ma che tutti quelli lasciati nella ruota in un certo giorno ricevessero un nome di fantasia. Da questa consuetudine derivarono numerosi cognomi, e tra i tanti casi se ne ricorda uno particolare del 1862. La parola scelta per quella giornata era Genito, e tale cognome fu attribuito ad uno dei bambini abbandonati. Per un errore di trascrizione, il cognome divenne Gemito, ed al bambino in questione, Vincenzo Gemito, fu attribuito quel cognome. In età adulta, sarebbe diventato uno dei grandi scultori italiani dell’Ottocento.
Il complesso della Real Casa Santa dell’Annunziata fu costituito in origine, oltre che dalla Basilica della Santissima Annunziata Maggiore, anche da un ospedale, un convento, un ospizio per i trovatelli ed un “conservatorio” per le esposte.
L’istituzione, dedicata alla cura dell’infanzia abbandonata, era patrocinata dalla Congregazione della Santissima Annunziata, fondata nel 1318.
Nel 1343 la regina Sancha d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, provvide a dotare la congregazione, che crebbe, da allora, all’ombra dei re di Napoli, assumendo la veste giuridica di Real Casa dell’Annunziata di Napoli.
La congregazione, sostenuta dalle famiglie nobili di Napoli, fu ricca ed ebbe vita assai lunga, giungendo fino a metà del Novecento.
Nei secoli gli edifici che costituivano il complesso furono variamente rimaneggiati: l’edificio che ancora oggi ospita l’ospedale ginecologico e pediatrico fu restaurato ancora a metà del XVIII dai Borboni, come recitano le iscrizioni del cortile interno.