Amore e vendetta, onore e rispetto, termini troppo spesso utilizzati come titoloni di film e serie televisive ma, che in storie come queste, riassumono in maniera esaustiva, le vicende dei protagonisti.
Aprile 1955, Pasquale Simonetti, detto Pascalone ’e Nola e Assunta Maresca, chiamata affettuosamente Pupetta, coronano il loro sogno d’amore e si sposano.
Sogno che dura solo tre mesi.
Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola (“Pasqualone” per la sua grossa corporatura e “da Nola” per le sue origini), era, all’inizio degli anni ’50, uno dei boss emergenti della camorra napoletana.
Persona decisa, che non si faceva passare la mosca per il naso, uso ad utilizzare le armi e le maniere convincenti, Pascalone veniva spesso interpellato dai cittadini per chiedere giustizia.
Ci fu una volta in cui, una ragazza rimasta incinta di un fidanzato che s’era fatto uccel di bosco, si rivolse a lui per trovare una soluzione. Pascalone andò dal giovane e gli disse: “Guagliò, io devo spendere per voi dieci mila lire in fiori. Preferite i fiori per il funerale o per il matrimonio?”. Il giovanotto preferì i fiori per il matrimonio.
Insomma una regolare carriera da camorrista, che l’aveva visto prima impegnato nel contrabbando di sigarette, poi in carcere per scontri con rivali. Uscito da Poggioreale, Pasquale abbandonò il contrabbando di sigarette per entrare in affari più tranquilli.
Con Antonio Esposito, detto Totonno ‘e Pomigliano, esponente di rilievo della malavita napoletana, si lanciò nel mercato ortofrutticolo, redditizio campo di affari della camorra, che assume il ruolo di mediatrice delle transazioni economiche, fissando il prezzo dei prodotti, il loro flusso dalla campagna alla città, i nomi dei compratori.
Simonetti insieme con Antonio Esposito, Alfredo Maisto e Francesco Antonio Tuccillo, coprì il ruolo di cosiddetto “presidente dei prezzi”. Verso la metà degli anni Cinquanta, una nuova congiuntura economica mise in crisi gli affari della camorra che vide sempre più restringersi il suo campo d’azione e, di conseguenza, ridurre i suoi introiti. A fronte dei grandi guadagni degli anni precedenti, ora toccava spartirsi pochi spiccioli. C’era bisogno, dunque, di eliminare chi, in questa situazione, si comportava da accentratore.
Nel mondo stesso della camorra del racket ortofrutticolo maturò, dunque, l’omicidio di Pasquale Simonetti. La mattina del 16 luglio 1955, Pascalone, in corso Novara, nei pressi del mercato ortofrutticolo, incrociò Gaetano Orlando, detto Tanino ‘e bastimento, amico di Antonio Esposito. Le cronache raccontano di una lite avvenuta per il mancato saluto di Orlando al presidente dei prezzi in cui rimase ucciso Pascalone. Ma parve subito chiaro che le ragioni erano altre e andavano da ricercare nelle liti frequenti sui guadagni ottenuti dalle mediazioni.
Prima di morire avrebbe potuto dire alle forze dell’ordine il nome del suo feritore, ma, in pieno stile mafioso, non parlò e disse il nome non dell’omicida, ma del mandante, solo a sua moglie. Era già accaduto più volte nella storia della camorra che taluni camorristi, gravemente feriti o addirittura sfigurati, abbiano deciso di non parlare, acquisendo ulteriore autorevolezza delinquenziale e conquistando persino il rispetto dei loro rivali e feritori.
Qui entra in scena Assunta Maresca, detta Pupetta, nata il 27 Aprile 1935, appartenente alla famiglia malavitosa dei Lampetielli di Castellamare di Stabia (così chiamati perché veloci come il lampo nelle decisioni e negli affari). Camorrista.
Almeno a stare a quanto disse lei, quando sfidò pubblicamente Raffaele Cutolo, dichiarando in una conferenza stampa: «Se per Nuova Famiglia si intende tutta quella gente che si difende dallo strapotere di quest’uomo, allora mi ritengo affiliata a questa organizzazione».
Assunta era davvero bella, quando si innamorò di lei Pasquale Simonetti. I Lampetielli benedissero il fidanzamento il giorno della Madonna di Pompei del 1954. Unico ostacolo al loro amore, Pascalone aveva una piccola condanna da scontare e Pupetta rifiutava di sposarlo se prima non si costituiva. Lo accompagnò fino all’ingresso in caserma a Napoli, e lì rimase tutto il giorno per poterlo scorgere dietro le sbarre di una finestra della guardina ogni volta che la porta si apriva.
Ad aprile dell’anno successivo, quando si sposarono, lei era già incinta. Il giorno stesso si recarono al santuario della Madonna di Pompei, dove Pascalone si levò di tasca la pistola facendola scivolare nelle mani di Pupetta, con la promessa solenne che avrebbe cambiato vita. Invece tre mesi dopo venne sparato per ordine di Totonno ’e Pomigliano.
saputo il nome del mandante, dal marito in fin di vita, Pupetta andò a San Giovanni Rotondo a parlare con Padre Pio e giurò vendetta.
Il 4 ottobre 1955, vestita a lutto, noleggiò un tassì e, accompagnata dal fratello Ciro, andò dritta al bar “Grandone”, zona stazione di Napoli, dove ammazzò Totonno a pistolettate.
Prima ancora di pensare a nascondersi si recò al santuario della Madonna di Pompei, che non ascoltò le sue preghiere: il 13 ottobre l’arresto, e poche settimane dopo il parto, nell’infermeria del carcere nasce Pasquale junior, detto subito “ Pascolino ’o Pascalotto”.
Condannata a 13 anni e 4 mesi (con l’attenuante della provocazione), fu graziata e scarcerata il 17 aprile 1965, giorno di Pasqua.
Provò a rifarsi una vita. Sull’onda della celebrità nel 1967 interpretò se stessa nel film Delitto a Posillipo, trasposizione della sua biografia. Chiusa la parentesi cinematografica, si dedicò a due negozi di abbigliamento a Napoli, mentre riscopriva l’amore con il camorrista Umberto Ammaturo, dal quale ebbe due gemelli, Roberto e Antonella, anche se lei, non accettò mai di sposarlo.
Il 2 gennaio Pasqualino (che per emulare il padre aveva intrapreso la via della malavita) scomparve nel nulla.
Pupetta ebbe a dire: “Di Pasqualino non so più niente. Mi facessero sapere con una telefonata o con una lettera anonima. Se per mio marito ho trascorso undici anni in una cella, per vendicare mio figlio affronterei trent’anni di reclusione“. Ma Pasqualino non comparve mai più.
Si incrinò anche il rapporto con Umberto Ammaturo, quando fu incarcerato con l’accusa dell’omicidio del figliastro, che nell’aprile del 1975 ottenne l’assoluzione, per insufficienza di prove.
La sua storia ispirò i registi Francesco Rosi (1958, La Sfida), Marisa Malfatti e Riccardo Tortora (1982, Pupetta Maresca, cronaca di un delitto) bloccato dal pretore su istanza dei legali della stessa Pupetta, che si riteneva lesa nella propria onorabilità, andò in onda sulla Rai solo nel 1994, attrice protagonista Alessandra Mussolini.
Nel 2013 anche Canale 5 ha prodotto una fiction ispirata alla sua storia (spettatori della prima puntata, 5 milioni).
Pupetta: “Ho ritrovato nella Arcuri la mia tempra. Vorrei che la gente capisca chi ero al di là dell’immagine pubblica che mi è stata cucita addosso. Prima di arrivare a impugnare quella pistola, avevo denunciato più volte il mandante dell’omicidio di mio marito.”