Quando costeggi le curve che disegnano la Costa del Cilento, capisci di essere giunto ad Acciaroli, quando valichi un cartello, orgogliosamente esposto all’ingresso del paese, sul quale spicca il volto barbuto di un illustre scrittore, affiancato alla ”Benvenuti ad Acciaroli, il paese di Hemingway”.
Già, si narra che proprio lì, Hemingway abbia respirato, raccolto e plasmato l’ispirazione che ha generato uno dei suoi celeberrimi capolavori.
Ernest Hemingway soggiornò alla “Scogliera”, quella che all’epoca era l’unica locanda di quel morigerato e raccolto borgo marinaro cilentano, lambito dal mare e protetto dalle colline ed affascinato dalla vita di un anonimo pescatore del luogo, detto “Zì Achille”, ne ha seguito le abitudini quotidiane accompagnandolo, di giorno, a pescare con il suo piccolo gozzo, e fermandosi la sera a dialogare con lui davanti al porticciolo del paesino.
Da questa breve, ma intensa esperienza nacque “Il vecchio e il mare”.
Quell’albergo è ancora lì, a pochi metri dal mare, anche se non è più una struttura funzionante, ormai da diversi anni. È rimasta pressoché invariata, rispetto a quando accolse Hemingway. Tre piani, l’insegna giusto sopra l’ingresso, i grossi finestroni centrali dai quali si scorge un’ampia scala che si arrampica lungo i pianerottoli. Hemingway, avrebbe alloggiato al secondo piano, insieme alla quarta moglie, Mary, per una ventina di giorni.
In quella terra, amata e coccolata, da tanti pescatori e, a tutela della quale, “il sindaco pescatore” si è sempre battuto, ogni volta che c’era da preservare la bontà e la genuinità di quei luoghi. E finanche al cospetto dello scetticismo che tutt’ora aleggia intorno all’identità del “vecchio” protagonista del romanzo di Hemingway che, secondo alcuni, invece, sarebbe un pescatore cubano.
Non aveva dubbi Vassallo: “Il vecchio” era “Zì Achille” e mentre passeggiava lungo il porto di Acciaroli, sovente indicava agli occhi pregni di diffidenza “la finestra di Hemingway”, quando giungeva nei pressi della “Scogliera”: “L’ultima finestra a sinistra… Quella è la stanza di Hemingway”.
Prontamente ed orgogliosamente rivendicava Vassallo. Lui che Zì Achille lo conosceva bene, come tutti i pescatori del posto. Zì Achille era un simbolo, un maestro, di pesca e di vita.
Giornalisti e curiosi da tutto il mondo sono giunti ad Acciaroli per conoscere ed intervistare quell’uomo, semplice, come solo “gli uomini di mare” sanno esserlo e saggio, come solo i pescatori sanno esserlo. Il primo cronista a raggiungere Zì Achille fu un giapponese.
”Se ne stava tutto il giorno sulla darsena, in attesa dell’ arrivo di noi pescatori. – raccontò quella volta, come ha fatto tante, tantissime, infinite altre volte, Zì Achille – Quando ormeggiavamo, gettava via i sandali e s’infilava in acqua per vedere il pescato e sentire le nostre storie di mare. Poi tirava fuori un taccuino e si metteva a scrivere. Se ne stava tutto il giorno sulla darsena o davanti al bar del porticciolo con un bicchiere di qualcosa in mano. Non faceva che prendere appunti e bere e girare su e giù per la darsena.”
Zì Achille Di Matteo, con i suoi baffoni brizzolati ed appuntiti, andava in giro in vespa lungo le strade di Acciaroli, finché ne ha avuto la forza, così come fino all’ultimo respiro, con “il Prigioniero”, il suo gozzo di colore blu, non ha mai smesso di accarezzare il mare.
Prima di approdare in quel porto d’incontaminato amore, Zì Achille fu prigioniero di guerra in Egitto. Lì, nel campo di concentramento numero 307, ha conosciuto la fame, la sete, le barbarie e le razzie più cruente che soggiogano l’umanità. Da lì, oltre le dune, il monte Sinai e il canale di Suez, scorgeva il mare.
Per Zì Achille, il mare era sinonimo di libertà ed è per questo che fino all’ultimo dei suoi istanti, non ha mai smesso di lasciarsi vivere il mare. In mare.
Durante la prigionia, nel corso di un temporale estivo, scaturito nel cuore del deserto, un suo compagno di cella, un ragazzo della sua stessa età, osservava incuriosito il temporale, tenendo la mani appoggiate alle sbarre dell’unica finestra che solcava quella stanza di costernazione e rimase folgorato da un fulmine.
Da quel momento, la paura dei fulmini, ha sempre accompagnato Zì Achille, anche durante l’infinitudine di tempeste che ha osteggiato in mare.
“Del mare non ho paura, ma ho rispetto, dei fulmini ho paura e li maledico.” Diceva Zì Achille.
Erano gli anni 50, quando ad Acciaroli approdò un signore americano, che fumava sempre il sigaro e beveva molto, voleva sapere di pesci e di pesca, ma non offriva mai una sigaretta, tanto desiderata. Così Zì Achille raccontava ai giovani del posto, agli uomini di oggi, il suo incontro con Hemingway.
I dotti, gli esperti in materia, gli storici, i critici, sostengono che “il vecchio” sia un pescatore cubano di nome Santiago.
Chi ha guardato negli occhi di Zì Achille, giusto il tempo necessario per scorgervi “il sentimento” che vi giaceva adagiato, serenamente animato da quel perpetuo e sereno moto di passione, peculiare delle onde che accarezzano la riva, non ha dubbi: è lui “il vecchio” che ha rapito il cuore di Hemingway.
Il 4 maggio del 1953, “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway vinceva il Premio Pulitzer per la narrativa, aprendo allo scrittore la strada verso il Nobel per la Letteratura che ricevette l’anno dopo, «per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo».
Durante una gelida giornata invernale di due anni fa, Zì Achille, è morto.
“Il prigioniero”, il suo gozzo, no.
Continua a farsi cullare dal mare. Quello stesso mare che, senza dubbio, rappresenta la casa dove risiede l’anima di Zì Achille.
È in mare Zì Achille che si sentiva libero.
È in mare che quel “vecchio”, la sua storia, la sua passione seguiteranno a vivere in eterno.