Napoli veste gli abiti della sentita e secolare tradizione, durante il sabato che precede la prima domenica di maggio.
Un sabato di preghiera e speranza, quello nel quale si celebra l’anniversario della traslazione delle ossa di San Gennaro da Pozzuoli a Napoli.
L’enfasi che contraddistingue e scandisce le preghiere, durante il percorso, durante l’intera giornata, tanto esprimono e raccontano della partecipazione e del coinvolgimento partenopeo e ben lo sintetizzano: prima bisbigliate, poi accorate, sempre più accorate, fino a farcirsi in maniera fortemente insistente di ansia ed impazienza, caricandosi di pathos ed autentiche esortazioni, in un escalation di partecipazione direttamente proporzionale al ritardo che il Santo accumula nel compiere il prodigioso miracolo dello scioglimento del sangue.
Possono trascorrere molte ore e, talvolta, persino giorni prima che il fenomeno si presenti. Nel ritardo accumulato nel compiere l’atteso miracolo o nel mancato verificarsi dello stesso, il popolo partenopeo rileva un’immane ed imminente sciagura. Secondo la tradizione, il ritardo preannuncerebbe un anno di generiche tribolazioni, mentre la non liquefazione preannuncerebbe l’arrivo di un evento nefasto.
Il miracolo di maggio è per l’appunto contraddistinto dalla tradizionale e solenne processione del Busto di San Gennaro e delle Ampolle contenenti il Sangue del Martire e Patrono di Napoli, dalla Chiesa Cattedrale alla Basilica di Santa Chiara, dove viene celebrata la Santa messa. La processione si svolge in ricordo della traslazione delle Reliquie del Santo dal cimitero posto nell’Agro Marciano, nel territorio di Fuorigrotta, alle Catacombe di Capodimonte, poi denominate, per questa ragione, di San Gennaro.
La processione di maggio fu detta anche «degli infrascati», dalla consuetudine del clero che vi partecipava di proteggersi dal sole coprendosi il capo con corone di fiori, tradizione abolita nel Seicento. Ne è memoria la corona in argento che sovrasta il tronetto sul quale viene posta la teca con il Sangue del Santo, che porta al centro un enorme smeraldo, dono della Città, di provenienza centroamericana. Lungo le vie del centro storico, quindi, oltre a quello di San Gennaro, sfilano i busti argentei dei nove Santi compatroni.
Questa processione, dal popolo denominata anche “processione delle statue” per la presenza delle statue d’argento dei santi compatroni, è un autentico spettacolo di fede e di folklore. Sui terrazzi garofani, rose e fiori d’ogni genere, ai balconi coltri di damasco o di broccato, drappi di seta conservati da anni e stesi all’aria per la festa.
Ancora più intima, raccolta e densa di commozione, era la processione di anni fa quando, all’andata percorreva Spaccanapoli tra le case del centro antico. Una pioggia di fiori cadeva dai balconcini delle povere case della vecchia Napoli. La gente si stringeva intorno al santo in quelle stradine che davano più voce alle preghiere e ai canti. Petali di rose al passaggio del Patrono e coi fiori il grido: “Viva San Gennaro!“
Abitualmente, i napoletani ritengono che il miracolo del 19 settembre (quando la cerimonia avviene all’interno della Cattedrale) sia propiziatorio solo per la città, mentre le altre due occasioni in cui San Gennaro manifesta il suo prodigio, riguardano più genericamente la Campania, l’Italia e il Mondo.