Jeanne Caròla Francesconi (Napoli, 1903 – Napoli, 1995 ??) scrittrice e autrice di alcuni ricettari rinomati, è stata prima di tutto una cuoca.
E la parola cuoca, in questo caso, ha una valenza nettamente diversa dal più moderno e gettonato sostantivo Chef.
Passione, amore per la cucina, ingredienti selezionati,” il fatto a mano “, erano per Jeanne Caròla Francesconi, elementi imprescindibili del cucinare e ogni artificio industriale era bandito.
Nella grande cucina di via Fiorelli ininterrottamente “pippiavano” i ragù, bollivano i sughi, sfrigolavano i manicaretti, arrostivano lacerti, lessavano aragoste, e tutt’intorno imperversavano signori di antiche e nobili famiglie, pescatori di Posillipo, abili pasticcieri di Fuorigrotta, contadini appena arrivati dai campi con le loro primizie: una scena teatrale, ma soprattutto un laboratorio perennemente in funzione su cui dominava la figura di Jeanne Caròla Francesconi, la donna che seppe ridare alla gastronomia partenopea il perduto splendore.
Jeanne provava e riprovava ogni piatto decine di volte, fino a quando non era convinta che non si potesse fare di meglio. Ingredienti e dosi dovevano essere stabiliti con esattezza e calcolate al grammo, con l’ausilio di cuoche di famiglia come Maria Milone o Teresina.
Nel 1965, la nostra eroina dei fornelli, decise di donare al mondo tutta la sua sapienza culinaria, pubblicando quella che ancora oggi viene considerata, la Bibbia della cucina partenopea: La cucina Napoletana.
L’intento quotidiano di Jeanne non era quello di stupire l’ospite, bensì quello di offrire all’appassionato, sterminate possibilità di ripercorrere attraverso il gusto, la storia della propria cultura: operazione che sembra scontata oggi che la territorialità è diventata spesso un ossessivo imperativo, e il «chilometro zero» un argomento da talk show televisivo; ma del tutto inedito negli anni in cui l’autrice condusse una lungimirante battaglia per affiancare alla gastronomia napoletana, il folklore da cui derivava: “Nessuno che badasse a riferire, con esattezza d’informazione e magari con il sussidio di personali sperimentazioni — scriveva infatti Mario Stefanile nella prefazione — la varietà amabile e sorprendente di una cucina che è composita, che gronda d’influssi vari, ma che in fondo è riuscita a combaciare magnificamente con lo stesso carattere di una città capace di nutrirsi e di godere di una sola fetta di pane, inzuppata d’acqua e cosparsa di sale e di un filino d’olio”.
Nessuno ci era riuscito, appunto, fino alla nostra autrice.
Ma Jeanne si fa, da storica e filologa della cucina, persino narratrice di elevata sensibilità quando rievoca, prima delle relative ricette e raccomandazioni per la loro buona riuscita, l’atmosfera in cui si consumava la frittata di maccheroni: “Ricordo ancora le gite in barca a vela della mia giovinezza, quando ragazzi e ragazze, debitamente ‘‘ chaperonnati’’ da almeno un’eroica mamma, organizzavano, per potersi incontrare, passeggiate in mare sulle imbarcazioni dei circoli nautici. E se il vento non era propizio e la meta non era raggiunta per l’ora del pasto, si scartocciavano le provviste e, con l’appetito della giovinezza acuito dall’aria di mare, si attaccava la frittata di maccheroni, divorandola mentre le vele non gonfiate dal vento battevano dolcemente ritmando il pasto con sordi rumori e col cigolio della randa”.
La Cucina Napoletana di Jeanne Caròla Francesconi (1965) è da considerare il primo vero ricettario napoletano dopo un vuoto di oltre un secolo seguito alla morte di Ippolito Cavalcanti avvenuta nel 1859. Da allora molti piatti della nostra cucina sono giunti fino a noi tramandati solo per tradizione orale. Scrivere o parlare di cucina era considerato quasi un’attività dequalificante. Solo intorno agli anni cinquanta del Novecento alcuni giornalisti, amanti della buona tavola, cominciarono ad interessarsi del pianeta cibo, rivolgendo l’attenzione ad alcuni aspetti, più che altro folcloristici o pittoreschi, delle usanze gastronomiche dei Napoletani.
Da alcuni decenni è in atto un’inversione di tendenza, tutti ormai riconoscono alla cucina un ruolo importante nella storia, nello sviluppo e nella cultura dei popoli.