Domenico Modugno – considerato unanimemente il primo cantautore italiano del dopoguerra – ha avuto con la canzone napoletana una felice commistione, sia come compositore che come interprete.
Nel corso della sua carriera ha scritto e interpretato numerose canzoni napoletane, alcune delle quali sono entrate a pieno diritto nel novero dei classici (moderni) della canzone partenopea; nella maggior parte dei casi scrivendone la musica e lasciando il testo a parolieri vari – primo fra tutti Riccardo Pazzaglia.
La loro collaborazione era nata quando entrambi frequentavano il Centro sperimentale di cinematografia, Pazzaglia nel corso di regìa, Modugno in quello di recitazione.
Nel giardino del Centro Sperimentale, sulla Via Tuscolana, nella pausa delle lezioni Modugno imbracciava la chitarra e improvvisava note su note mentre Pazzaglia ne scriveva i versi. Altre volte era lui che portava un testo già scritto al quale Modugno aggiungeva la musica.
Il primo successo della coppia Pazzaglia Modugno lo si deve a Renato Carosone che lanciò, con la voce di Gegè Di Giacomo, “Io mammeta e tu”, canzone umoristica che faceva la satira di un certo costume piccolo borghese tipico dell’Italia meridionale ma comprensibile in ogni paese del mondo, stando alle esecuzioni che da allora ad oggi ne vengono eseguite in molti paesi stranieri.
Al successo di “Io, mammeta e tu” viene ad aggiungersi, due anni più tardi, nel 1956, quello di “Lazzarella” che, cantata da Aurelio Fierro, arriva seconda al Festival della canzone napoletana di quell’anno, ma è al primo posto per la popolarità immediata che ottiene in tutta Italia, prima di sbarcare anch’essa in molti paesi all’estero.
Un successo così clamoroso che si annunciò la mattina dopo la proclamazione della vittoria quando già Lazzarella veniva fischiettata per le strade.
Il successo del brano è anche dovuto all’uscita, nello stesso anno, dell’omonimo film di Carlo Ludovico Bragaglia, dal soggetto dello stesso Pazzaglia e interpretato, tra gli altri, dallo stesso Modugno nel ruolo di Mimì
Sia “Io, mammeta e tu” che “Lazzarella” erano prodotti dalla Titanus di Goffredo Lombardo (si chiamavano musicarelli, un genere molto in voga che permetteva ai produttori lauti guadagni con film a bassissimo costo). Pazzaglia firmò la sceneggiatura di entrambi i film; nel cast,oltre a Modugno, c’erano Alessandra Panaro, Luigi De Filippo, Marisa Merlini, Tina Pica e Mario Girotti, che diventerà famoso molti anni dopo col nome di Terence Hill.
Negli anni successivi la canzone ebbe così successo che nacquero numerosissimi “gadget”, come ad esempio un mini-calendario profumato del 1959 (formato 7×10), ispirato alla canzone e al relativo film, che veniva dato in omaggio, dai barbieri ai propri clienti, in occasione delle feste natalizie.
Lazzarella è stata nel corso degli anni reinterpretata da numerosissimi autori, tra i quali: Dalida, Renato Carosone, Nino D’Angelo,Roberto Murolo, Eugenio Bennato, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri, Mario Trevi e Renzo Arbore.
Quando nel 1956 Lazzarella venne presentata al Festival di Napoli, uno dei versi finali che recitava ” Lazzarella tu si già mamm”, dovette, per ordine del censore, essere sostituito con il verso “Lazzarella perdo ‘o tiempo appriesso a tte“.
Il verso censurato, anche se al giorno d’oggi ci può sembrare assurdo, cozzava contro la pudibonda moralità nazionale, fondata sulla verginità e sulla mostra pubblica delle lenzuola dopo la prima notte.
Se il verso fosse rimasto come scritto in origine, quello successivo,”te va sempe cchiu’ strett’a camicett’a fiori blu “avrebbe avuto una valenza diversa: la camicetta diventa stretta non per la crescita del seno dovuta alla maturità di donna, ma dovuta ad una gravidanza involontaria.
Ne consegue che i versi successivi “mo’ te truove tutt’e matine / chin’e lacreme ‘stu’ cuscino / manco ‘na’ cumpagnella te po’ aiutà “, non significherebbero più, piango per le pene d’amore, ma piango perchè sono incinta e non so come dirlo ai genitori.
Il tutto, ampiamente supportato dall’ultimo verso “te si’ cagnata pure tu / e te prepar’a ddi’ ‘stu’ si / ma din’t’a chiesa do’ gesu’!! ” quindi matrimonio non voluto, ma riparatore.
E’ bastata invece, una piccola modifica, per dare alla canzone, il significato che noi tutti oggi conosciamo: la storia di una studentessa adolescente, bella, allegra e spensierata, ma che a un certo punto conosce l’amore e con esso le sue pene.
Nel 1957, la celeberrima Resta cu’ mme, anch’essa di Modugno, venne incredibilmente censurata sempre per gli stessi motivi, ma stavolta dalla RAI. I versi “nun mme ‘mporta d’o ppassato / nun mme ‘mporta ‘e chi t’ha avuto…“, furono considerati troppo ” spinti “, per la morale pubblica.