La Villa d’Elboeuf è un palazzo settecentesco di Portici, sita nelle immediate vicinanze del porto del Granatello, ed è la prima, in ordine cronologico, delle 122 ville vesuviane del Miglio d’oro.
La Villa fu fatta erigere nel 1711 da Emanuele Maurizio di Lorena, Duca d’Elboeuf e nipote di Carlo VI. Essa rappresenta uno dei capolavori di Ferdinando Sanfelice, uno dei più importanti rappresentanti dello stile tardobarocco napoletano, amante di illusionistici giochi scenografici e prospettici.
L’edificio, di pianta rettangolare, si sviluppava su due piani, con una loggetta dalla parte del Vesuvio e due terrazze sul mare, una verso Torre del Greco ed una verso Napoli. Sulla facciata principale, rivolta verso il mare, si aprivano due portali, a cui si accedeva da una doppia scala ellittica con balaustra in marmo e piperno. Per la costruzione si utilizzarono materiali provenienti dall’antica Ercolano, mentre i giardini furono realizzati con la fertile lava del Vesuvio che ricopriva l’area dei lavori.
I giardini erano alimentati da un complesso acquedotto che attingeva direttamente al fiume Clanio. Il duca d’Elboeuf fece piantare numerose piante esotiche nel giardino della villa, e la abbellì con altri numerosi manufatti recuperati da quelli che sarebbero diventati di lì a poco gli scavi archeologici di Ercolano.
L’Elboeuf era un appassionato di antichità e presto si accorse che i materiali che venivano impiegati per la costruzione della sua dimora appartenevano all’antica Ercolano; egli, in pratica, scoprì gli scavi.
Nel 1716 la villa fu venduta al Duca di Cannalonga Giacinto Falletti Arcadi, nel 1738 ospitò Carlo di Borbone, che si innamorò di quei luoghi e fece costruire nelle vicinanze la Reggia di Portici. Nel 1742 il re acquistò la villa dagli eredi del Falletti, trasformandola in dépendance della reggia, della quale costituiva anche l’approdo dal mare, in quanto era attigua alla riserva di pesca del Granatello, dove Carlo III amava pescare.
Ferdinando IV promosse ulteriori lavori; si costruirono il Bagno della Regina, raro esempio di architettura balneare in quanto il costume di andare in spiaggia non era molto popolare, ed un viale che dalla Reggia di Portici metteva direttamente in comunicazione con la villa.
Il declino della villa cominciò nel 1839, quando la costruzione della prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici, tagliò la comunicazione tra il palazzo ed il parco retrostante, distruggendo l’unità architettonica e l’armonia del complesso. Negli ultimi anni l’edificio, proprietà di privati, seppure vincolato ai sensi della legge 1089/1939, ed inserito nell’elenco delle Ville vesuviane del Miglio d’oro, versa in uno stato di grave fatiscenza ed è al centro di accese polemiche, sospeso tra l’opportunità di una riqualificazione e la minaccia della speculazione edilizia.
” Vedea in questo luogo riunito come per incanto un mare tranquillissimo, un monte sorprendente, e poi bosco, giardini, quiete, aere purissimo e cielo d’Italia! Che potea desiderar di più” – recita un passo di Guido Rapolla in ‘Memorie Storiche di Portici.
Attualmente la villa versa in grave stato d’abbandono e decadenza. Le grandi scalinate d’accesso sono state depredate delle balaustre in marmo, e molti degli interni sono in rovina a causa di intemperie ed incendi. Il tetto, costruito con una struttura portante in legno, è crollato in diversi punti. Diverse pareti interne sono state abbattute e molti locali sventrati in seguito ad atti di sciacallaggio mirati a depredarne il rame dei cavi elettrici. La struttura è stata colpita da diversi incendi ed è a volte usata da senzatetto come rifugio che trovano riparo tra i fantasmi del passato.
Il 5 febbraio 2014, un’ampia porzione del muro esterno della villa, che costeggia la linea ferroviaria, crollò finendo sulle rotaie, interrompendo per molti giorni, il traffico sulla tratta Napoli – Torre Annunziata.
Forse prima o poi dovevamo aspettarci che quelle mura del’700 potessero decadere se non curate.
L’imponente Villa d’ Elboeuf, quanto ancora dovrà aspettare per risorgere come un tempo e lasciare liberi quei fantasmi di risplendere tra le bellezze di un’epoca lontana?