Tra i figli illustri della città partenopea, la cui parabola artistica non ha bisogno di valutazioni e ragionamenti, c’è sicuramente Giovanni Tizzano.
E’ stata inaugurata giovedì 2 aprile, la mostra “Giovanni Tizzano. Anteprima del Novecento”, promossa da Databenc (Distretto ad alta tecnologia per i beni culturali) nell’ambito del ciclo di iniziative per la riscoperta dell’800 napoletano, che offrirà fino al 31 maggio un ricco calendario di appuntamenti presso il Complesso di San Domenico Maggiore grazie alla collaborazione con l’assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Napoli.
Artista di prestigio nazionale e internazionale, ha lasciato una viva e attenta riflessione sull’arte contemporanea: come un ” amanuense del bronzo“, lo scultore napoletano accarezzava la lega fino a lacerarsi le mani a sangue e già nei gessi si coglie la completezza di uno studio capace di dare voce ai più intimi drammi ed alle più nascoste emozioni dei soggetti che ritraeva..
Pur avendo ottenuto un grande successo in vita e partecipato, tra gli anni ’20 e ’30, a numerose esposizioni internazionali (tra cui Esposizione Internazionale d‘arte di Barcellona nel 1929; Biennale di Venezia, nel 1932; II Mostra internazionale di arte coloniale, la Mostra di Arte italiana in Svizzera e la Biennale di Venezia, 1934), le sculture presentate nelle varie esposizioni nazionali ed internazionali non rappresentano completamente il corpus tizzaniano.
Testine di bimbi, ritratti inteneriti e certi frammenti preziosi, sono i temi più frequentemente apparsi nelle mostre di questi anni e che hanno valso all’artista l’ingiusta qualifica di intimista post-rossiano. Esse però non sono che una parte secondaria della produzione scultorea di Tizzano. Difatti egli non ha mai potuto mostrare, tranne che ai più intimi, il vero corpus della sua opera e la vera misura del suo talento.
Intorno alla metà degli anni ’60, si ritirò a vita privata, un po’ per gli acciacchi della vecchiaia, un po’ perché non si sentiva compreso dall’ambiente partenopeo.
Di fondamentale importanza ai fini di una completa conoscenza del corpus tizzaniano è la statuaria, ovvero le opere di grandi dimensioni.
Tizzano ha modellato decine e decine di sculture di grande respiro: nudi o gruppi grandi al vero e più grandi del vero, dalle quali traspare tutta la serietà e la profondità della sua educazione artistica, in cui è messa a frutto genialmente l’antica esperienza di cesellatore, di profondo conoscitore dei bronzi ercolanensi del Museo di Napoli.
Purtroppo, questa produzione è rimasta inedita perché, sia per pudore, sia per carenza di finanze, egli dovette tenerla nascosta; le sue statue filiformi, goticizzanti le ha tenute raccolte, fino alla sua morte, in depositi bui o negli scantinati polverosi, nascoste ad ogni sguardo.
Dopo la sua morte queste opere furono portate al Museo di Capodimonte, ma purtroppo, ad esse non fu mai destinata una sala di esposizione permanente.
Alcuni anni fa, queste sculture sono state trasferite a Castel Sant’Elmo, dove sono state riposte in un deposito lontane dalla sguardo del pubblico ed esposte all’usura dell’umidità e del trascorrere del tempo.
La mostra sull’Ottocento napoletano Il Bello o il Vero, curata dalla professoressa Isabella Valente, docente di Storia dell’Arte dell’Università di Napoli Federico II, che si rinnova e continua il suo percorso di successo proponendo un programma di iniziative che animeranno il centro storico di Napoli, ha come obbiettivo proprio quello di proporre per la prima volta al grande pubblico, opere inedite in gesso di rara bellezza e bronzi dalla patinatura particolare, provenienti dalla collezione degli eredi di Giovanni Tizzano.