Accadde Trentasei anni fa, l’omicidio del giovane di Cinisi commissionato dal boss Badalamenti. Questo fu il tragico destino di Peppino Impastato.
Giuseppe Impastato, detto Peppino, è stato un giornalista e un attivista siciliano, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Il 9 maggio 1978 è anche il giorno in cui fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma.
Nato a Cinisi, in una famiglia di mafia. Il marito di sua zia, Cesare Manzella, era un boss di prima grandezza nel firmamento delle coppole. Suo padre, Luigi Impastato, aveva un amico che era il numero uno di Cosa nostra, Tano Badalamenti. Ma Peppino, giovane e ribelle alla cultura mafiosa, militante di una sinistra che si componeva e si divideva, alimentando una galassia di sigle, partiti e movimenti, cambiò la sua sorte, fu così che Tano Badalamenti diventò il mandante del suo assassinio.
Il giornalista siciliano fu fatto saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un attentato suicida. La stampa, le forze dell’ordine e la magistratura parlano di un’azione terroristica, in cui l’attentatore era rimasto ucciso. Solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia, e del fratello fecero emergere la matrice mafiosa dell’omicidio.
Fondatore del gruppo “Musica e Cultura“, a dopo ancora, a cavallo dell’onda delle radio libere degli anni settanta, fonda la sua “Radio Aut“, libera ed autofinanziata, ironico megafono di denuncia di delitti e affari delle cosche della zona ed in particolare del boss Gaetano Badalamenti, il ‘Tano Seduto’ nella trasmissione Onda Pazza condotta dallo stesso Peppino.
Nel 1978, poco più che trentenne, decide di candidarsi con Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi, dimostrazione di una voglia di responsabilità vera e diretta. Dopo qualche giorno dalla scelta, ad ormai una settimana di distanza dalle votazioni, Peppino viene assassinato: esce dalla sede di Radio Aut in serata, come di consueto, saluta tutti, ma non rivedrà più nessuno.
Ucciso due volte, Peppino. Il giorno dopo, (stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro) i pochi giornali che riportano la notizia del caso Impastato, parlano di un ragazzetto, brigatista, che durante un tentativo di sabotaggio per mezzo di tritolo della linea ferroviaria era cascato male finendo per rimanere egli stesso ucciso. Non si parla di assassini o anche solamente di assassinio, quello che è accaduto è un incidente che ha addirittura scongiurato un attacco brigatista.
La riapertura del caso avvenne solo nel 1994, quando il Centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato presentò la richiesta accompagnata da una petizione popolare. Nell’istanza si chiedeva di interrogare sul delitto Impastato il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni del pentito Palazzolo, Badalamenti fu indicato come il mandante dell’omicidio insieme al suo braccio destro Vito Palazzolo, e l’inchiesta fu formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 fu emesso un ordine di arresto per Badalamenti, accusato di essere il mandante del delitto.
Finalmente, il 5 marzo 2001 la Corte d’assise di Palermo riconosce Vito Palazzolo colpevole dell’omicidio Impastato, condannandolo a 30 anni di reclusione, l’11 aprile 2002 la Terza Sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo pronuncia la sentenza di condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, come mandante dell’omicidio.
Ci sono voluti 23 anni perché Peppino Impastato diventasse con bollo di giustizia un morto di mafia. E quell´omicidio un delitto contro la parola, l´assassinio di un giornalista postumo. Perché Peppino fu iscritto all´albo professionale, quando finalmente Badalamenti, nel 1997, fu incriminato.
Parlava Peppino, ma in una Cinisi muta, sorda e cieca; parlava dai palchi improvvisati sui quali rappresentava il suo impegno. Si faceva ascoltare dai microfoni di Radio Aut, ma non tutti volevano ascoltare.
Peppino mostrava cosa stavano facendo del suo paese, con l´aeroporto in ampliamento, l´America dei cugini d´oltreoceano sempre più vicina, la droga a fiumi e la speculazione dei signori del cemento alle porte. Faceva nomi e cognomi. Di mafiosi e di politici. Che andavano a braccetto e si facevano fotografare insieme.
Un vita burrascosa quella di Peppino, una vita spezzata, proprio quando stava esponendosi direttamente mediante la sua candidatura politica. Chissà se Peppino sarebbe riuscito nel suo arduo intento, di cambiare effettivamente le cose. O forse no, forse Peppino, vivendo, sarebbe rimasto un ragazzo di Cinisi, e basta. Sarebbe rimasto lì, tra i palazzetti e le case abusive di Terrasini, sarebbe rimasto nella memoria di chi lo ha conosciuto, e sarebbe rimasto sconosciuto ai molti.
Probabilmente sarebbe stato lo stesso Peppino Impastato ma nessuno, nessuno, ce lo avrebbe raccontato, nessuno avrebbe ritrovato eccitante la semplice storia di un ragazzo trafficante di pensieri.