1.700 corpi di soldati dell’esercito di Baghdad, sono stati rinvenuti nella città irachena di Tikrit.
1.700 corpi ritrovati in 10 fosse comuni.
1.700 corpi, trucidati ed ammucchiati. Depauperati, denaturati e sviliti di tutto. Della vita e perfino della dignità. Quella che ai morti proprio no, non si nega.
Vite spezzate, morti derubate del più basilare senso dei rispetto e del decoro.
Accade in un mondo tutt’altro che distante da questo. Dal nostro.
“Le vittime del campo Speicher”: questa l’etichetta con la quale quei corpi verranno tramandati ai posteri. Secondo un rapporto dell’Onu diffuso lo scorso mese, si tratterebbe dei circa “1.500-1.700 membri dell’esercito iracheno da Camp Speicher sono stati sommariamente uccisi il 12 giugno dall’Isis, presumibilmente dopo essere stati catturati”.
Human Right Watch descrive il ‘massacro di Speicher’ come il maggiore incidente riportato dove l’Isis ha “catturato più di 1.000 soldati e ne ha eseguiti almeno 800”. I corpi rivenuti sarebbero in stato di decomposizione. I resti sono stati inviati a Baghdad per l’esame del Dna, che ne stabilirà l’identità. Le fosse, secondo le ricostruzioni, si troverebbero all’interno del palazzo presidenziale, che contiene i resti dell’ex presidente Saddam Hussein, e in altre due siti fuori città.
Le fosse comuni: una costante che si ripete ed accompagna le pagine più cruente e sanguinose della storia.
Accade in un mondo tutt’altro che distante dal nostro e che narra uno sterminio, l’ennesimo, che infanga e deteriora la più embrionale e speranzosa essenza d’umanità. Di tutta l’umanità.
Non è l’inferno, accade in un mondo tutt’altro che distante dal nostro.