Napoli. Un altro crollo.
Ancora cemento che frana nell’ordinaria quiete d’impreparate vite, inconsapevoli del pericolo, incapaci di fiutare il rischio camuffato in un muro apparentemente solido, ma, in realtà, labile.
Un muro di contenimento è crollato sulla scala di accesso di un palazzo ubicato nei pressi della chiesa di Sant’Antonio a Posillipo.
Uno dei punti più “alti” e famigerati della città, abbraccia una delle scene più topiche e sintomatiche del malessere che imperversa tra vicoli e colline. Anche lì è riuscito a giungere Io sfacelo, portatore insano di decadimento ed apprensione.
I vigili del fuoco hanno provveduto a sgomberare la scala e l’androne del palazzo interessato dal crollo del muro per consentire alle persone rimaste intrappolate di abbandonare l’edificio. È il muro di tufo che funge da contenimento a via Pacuvio ad essere crollato. I terrazzi degli inquilini del secondo, terzo e quarto piano dell’edificio sono andati completamente distrutti. Dal quarto piano in giù, il palazzo è stato sventrato.
Nello stabile ci sono quattordici appartamenti, due dei quali sfitti, oltre a quello del portiere. Sono state sfollate tredici famiglie, una quarantina di persone in totale. Alcuni occupanti del palazzo, tra questi anche dei bambini, sono stati soccorsi con l’autoscala.
Ma, anche stavolta e anche stavolta aggiungeremo “per fortuna”, non si rilevano danni a persone, almeno non di natura fisica.
Un palazzo andato in frantumi come un cracker in pochi e concitati attimi. Seminando un’indicibile paura.
Dentro, fuori, all’interno di quel colosso di cemento.
Quella paura, orfana di logica, speranza e prevedibilità, la medesima che irrompe nella consapevole inconsapevolezza di tutti i napoletani, al cospetto di tali notizie.
Un’autentica collezione di disastri, quella, fin qui, conseguita dal capoluogo campano in materia di “agibilità e sicurezza” di palazzi ed edifici storici.
E legittimo è il sentore che non sia finita qui.
Questo è ciò che incute ancor più lecita e cruda paura.