Quanto accaduto di recente ad Ottaviano ha inferto una profonda e voluminosa ferita, capace di estendersi ben oltre le conseguenze di diretta e stretta pertinenza di una “semplice rapina”, palesandosi, piuttosto, come un feroce atto d’indicibile violenza, capace di minare e ledere la coscienza ideologica, civile e sociale della popolazione.
Due carabinieri che vestono gli impropri abiti dei rapinatori, giungendo finanche ad innescare un conflitto a fuoco che miete diverse vittime e soprattutto un morto. Pasquale Prisco: un ragazzo di appena 29 anni.
La comunità è comprensibilmente sotto shock.
Soprattutto perché all’origine di tutto, a generare il tutto, sono due uomini appartenenti alle forze dell’ordine.
A finire sul banco degli imputati è l’intera categoria, come poteva essere facilmente prevedibile. L’opinione pubblica non fa nulla per nascondere la crescente sfiducia mista a delusione, riversata nei riguardi delle istituzioni e delle alte cariche dello Stato.
A raccontare “l’altra faccia della medaglia” è una “moglie della divisa”, una donna sposata con un carabiniere ed, ancor più, con tutti i valori personificati dall’uniforme.
Cosa pensa di quello che è accaduto ad Ottaviano?
“Si tratta di una vera tragedia, che ha colpito il cuore dell’Arma e soprattutto tutti i carabinieri VERI, quelli che credono fortemente nell’uniforme che indossano. In loro vive tanto rammarico e rabbia, alcuni provano profonda vergogna per quanto avvenuto. Si sentono moralmente intaccati, ma, soprattutto, infangati. Personalmente sono rammaricata e addolorata da questo triste fatto e in quanto moglie di un uomo appartenente all’arma, mi sento ferita, perché quella consumatasi ad Ottaviano è una tragedia che colpisce anche chi è direttamente coinvolto, quindi tutte le famiglie dei carabinieri.”
Cosa vuole dire ai familiari della vittima e ai colleghi di suo marito che ne hanno provocato la morte?
“Ai famigliari della vittima esprimo tanto dispiacere per la perdita del loro caro. L’Arma, come Istituzione, sicuramente non farà mancare la propria vicinanza ai familiari e attraverso la sua stessa presenza, incorporerà tutta la sana rappresentanza della categoria: coloro che credono nella divisa che indossano ed ogni giorno combattono per il bene e la sicurezza delle popolazione.
Riguardo ai due delinquenti, perché quelli non sono carabinieri, ma delinquenti che non hanno indossato l’uniforme, ma la vestivano e basta, senza cucirsela addosso, senza nutrire un vero e profondo credo, erano mele marce. Non vanno chiamati carabinieri, ma delinquenti e basta.
I carabinieri sono tutt’altra cosa e quei due dovrebbero pagare il doppio della pena prevista per i reati da loro commessi.”
Chi è “il carabiniere”?
“Colui che nasce e vive nel nome degli ideali di giustizia e lealtà e rimane tale per sempre. Il suo cuore è incorruttibile. Sono quelli che hanno gli alamari cuciti sulla pelle, che per il bene altrui rischiano la vita, quelli che onorano la fiamma e credono in ciò che fanno. Il carabiniere opera una scelta di vita basata su grandi valori e il giuramento che pronunciano quando entrano a far parte dell’arma, lo portano marchiato sul cuore. Ecco chi è il vero carabiniere!”
Cosa sente di voler dire a chi ha smesso di nutrire fiducia nella divisa?
“Ci sono tanti carabinieri che ogni giorno svolgono la loro “missione” pieni di voglia di fare e di dare, sono uomini al servizio della gente. Sono carabinieri convinti e orgogliosi di essere quello che sono, perché credono fermamente in quello che fanno. In un albero con bei frutti può capitare che germogli una mela marcia, ma essa non intacca l’albero, cade e finisce di imputridirsi da sola…”