Dal punto di vista comunicativo, l’abito, costituisce un ambito di studio assai importante, perché con esso uomini e donne di ogni cultura elaborano e trasmettono una grande quantità di messaggi; rappresentando dunque un vero e proprio canale comunicativo.
Per cogliere quanto esplicita la comunicazione che attuiamo con l’abito, è sufficiente tenere sotto controllo critico le scelte che facciamo al mattino di un giorno qualsiasi, prima di andare al lavoro o nel momento in cui ci prepariamo a un incontro speciale; oppure quando giriamo per negozi con l’intenzione di comperare un vestito: compiamo un operazione, ovvero scegliamo una dopo l’altra le ‘tessere’ per comporre il ‘mosaico’ della nostra immagine preferita o di un’immagine provvisoria, ambedue costruite sulla base di come vogliamo apparire.
Talvolta decidiamo di privilegiare alcuni destinatari rispetto a tutti gli altri che avranno modo di vederci (il vestito infatti non è una comunicazione privata, ma pubblica); scegliamo insomma i singoli elementi dell’abito tra i tanti possibili.
E’ altrettanto vero però, come si dice comunemente, che l’abito non fa il monaco, per dire che non bisogna soffermarsi all’apparenza per scoprire la persona che si ha di fronte. In senso figurato, significa che non bastano i segni esteriori a garantire la sostanza interiore, che quello che appare può essere illusorio e che bisogna quindi diffidare. Questo è più o meno il senso della campagna pubblicitaria realizzata da Terre de Femmes.
Il valore di una donna non dovrebbe mai essere associato alla scollatura o all’altezza dei suoi tacchi. Per questo nasce “Don’t measure a woman’s worth by her clothes”, la nuova campagna pubblicitaria realizzata dalla Federazione internazionale Terre des Femmes , un’organizzazione tedesca per i diritti delle donne che si batte per la sensibilizzazione alla parità tra i sessi in ogni aspetto della vita, in difesa di tutte quelle donne che ogni giorno devono fare i conti con i pregiudizi e gli stereotipi.
DA «PURITANA» A «PROSTITUTA». Don’t measure a woman’s worth by her clothes è strutturata su tre foto che ripropongono parti del corpo femminile: collo, gambe e piedi.
Per ognuna c’è un metro di paragone: se per esempio la camicia o maglietta è a collo alto, la ragazza è «prude» («puritana») se invece è molto scollata è «whore» («prostituta»). Se una gonna arriva poco sopra al ginocchio, la ragazza è «chheky» («sfacciata»), se invece arriva sotto è «old fashioned» («di vecchio stile»).
I manifesti sono stati disegnati da Theresa Wlokka e dagli studenti della Miami Ad School di Amburgo.
Nella società contemporanea, in cui vige Il “sessocentrismo”, tale per cui il divario fra la realtà e la rappresentazione in tema di sesso provocano nell’individuo una trasformazione, dove il sesso diviene elemento che monopolizza l’immaginario e l’esistenza, è giusto rivalutare la figura della donna in quanto tale, non per gli abiti che indossa.