La Sicilia non è fatta di solo mare, magnifici siti archeologici, bellezze monumentali e naturali, la Sicilia è luogo anche di tradizioni, molte delle quali si mantengono quasi intatte nel tempo.
Oltre alle note mete turistiche, come Taormina, Catania, Erice, Cefalù, Monreale, Palermo, Noto, Ragusa Ibla, Agrigento o Siracusa; tutto il territorio siciliano è ricco d’arte, cultura e tradizioni.
A tal proposito le tradizioni, fra sacro e profano, in questa regione, sono il risultato di sincretismi sedimentati in oltre duemila anni di storia. Anche le celebrazioni del matrimonio assumono connotazioni e sfumature che attingono ad un ricco bagaglio di consuetudini.
Sposarsi in questi luoghi infatti non significa solo scegliere fra sontuose cattedrali, incantevoli scenari e sale ricevimenti , ma entrare a contatto con alcune tradizioni dalle solide radici. La tradizione e gli usi che si tramandano da generazioni sembrano non cedere in questa terra, dove il giorno del matrimonio è ancora oggi un giorno unico per raccogliere intorno a se moltissimi parenti e amici.
Da quello che emerge da molte opere di autori siciliani, risulta evidente che anche in Sicilia, in linea di massima, alla fine dell’800, erano le madri che si accordavano sulle nuove relazioni matrimoniali e che quindi decidevano il marito o la moglie per i loro figli sulla base della convenienza sociale ed economica, con assoluta esclusione dei sentimenti.
L’età giusta per l’uomo era all’incirca 28 anni e per la donna 18, cosi come ricordano i proverbi: “Donna di diciottu, ed omu di vintottu“, “Vintottu anni voli aviri l’omu, diciottu idda, è matrimoniu bonu“.
La scelta della sposa era condizionata dal fatto che ella possedesse le quattro virtù cardinali che ne facevano una buona moglie, e cioè che fosse operosa, onesta, con dote proporzionata e di pari condizione sociale. Era inoltre importante, fino alla fine dell’800, che fosse dello stesso paese e spesso anche dello stesso culto dei Patroni locali.
Questo modo di combinare le unioni era tipico dei piccoli centri, invece nelle città l’incombenza era affidata al paraninfu o sinsali, una persona che lo faceva per mestiere ed era regolarmente pagata.
Un altro modo, molto caratteristico, per chiedere una donna in moglie poteva essere messo in atto dal giovane stesso che, innamorato di una ragazza, alla quale aveva già manifestato il suo sentimento con qualche serenata notturna, prendeva un ceppo di fico d’india, lo adornava con nastri, fazzoletti e oggettini d’oro, e lo metteva, di sera, dietro la porta della giovane. L’indomani il padre della giovane si recava in piazza con il ceppo e cercava il pretendente.
Va precisato, inoltre, che il giorno del matrimonio in Sicilia è un evento e, come tutti gli eventi, è collettivo. Cosa che potrà un po’ sorprendere chi viene a sposarsi in Sicilia da fuori, e magari è avvezzo ad una dimensione più intima e ristretta del rito.
In Sicilia dire di “si” o “sposiamoci qui” non è mai una scelta che coinvolge solo la coppia, ma tutti i parenti e gli amici, non solo in chiesa ma anche nella location per il ricevimento. Il ricevimento di nozze in Sicilia è una tradizione che riassume l’eredità greco-romana dei simposi e dei banchetti: il susseguirsi di tante magnifiche portate, dagli antipasti alle torte e buffet, scandisce un banchetto nuziale lungo e sontuoso.
Ci sono però anche delle consuetudini che interessano le settimane precedenti il fatidico giorno. Una, fra le tante che anticipano il ricevimento nozze in Sicilia, è quella dedicata al cosiddetto “iri à vidiri ù lettu a li ziti” (andare a vedere il letto dei futuri sposi).
Usanza diffusa fino alla fine degli anni ‘80, che riguarda appunto l’apertura della futura abitazione degli sposi alla visita da parte di tutti, ovvero dagli invitati ai semplici conoscenti.
Le luci restavano sempre accese in ogni stanza in segno di festa mentre nella sala più grande veniva allestito “ù lettu dì ziti”, ovvero il letto dei futuri sposi. Il letto sfoggiava lenzuola ricamate e, al centro, un cuscino su cui poggiavano le fedi nuziali. La tradizione aveva lo scopo di creare un luogo alternativo alla sala ricevimento, in cui i regali di nozze potevano, non solo essere consegnati ai futuri sposi con tranquillità, ma anche esibiti sopra un tavolo, con tanto di bigliettino sotto indicante il nome di colui che aveva fatto il regalo.
Di questa sorta di “prologo” del ricevimento in Sicilia oggi rimane diffusa solo l’usanza di tenere in casa un tavolo con tutti i regali ricevuti in bella mostra per chi, fra amici e parenti, viene a portare un dono personale o scelto in una o più liste nozze.
Altra tradizione legata al matrimonio siciliano riguarda le fedi nuziali: scelte spesso fra gli amici più cari, che le offrono in dono alla coppia. Dal giorno del matrimonio essi saranno molto più che testimoni di nozze o carissimi amici: saranno “compari”.
A sottolineare la specialità di questo rapporto che si stabilisce, nel linguaggio comune, “compà ” è da sempre il modo più affettuoso per due siciliani di chiamarsi, ancora oggi, anche quando non sono mai stati testimoni l’uno delle nozze dell’altro.