Unico nel suo genere, il Palazzo Cellamare, ubicato nel quartiere San Ferdinando a Napoli, vanta la coesione perfetta di tre stili architettonici diversi, cinquecentesco, seicentesco e settecentesco, ma passa alla storia non tanto per l’armonia delle linee e l’eleganza dei particolari, bensì per essere stato preso di mira dai tumulti dei Lazzari nella rivolta contro le Gabelle del 1647, capeggiati dal capopopolo per antonomasia Masaniello.
Di questo palazzo nel 1901, Benedetto Croce scrisse: “Si accoglieva specialmente il fiore dei forestieri che capitavano a Napoli, in quei tempi nei quali il viaggio in Italia e il soggiorno a Napoli, erano venuti di moda.”
La sua costruzione risale al XVI secolo, quando venne realizzato perché diventasse la dimora di campagna di Giovanni Francesco Carafa, abate di Sant’Angelo. Inizialmente l’edificio non presentava il portale barocco e i giardini, ma il corpo di fabbrica era pressoché lo stesso, con il giardino superiore diviso in due parti fiancheggiate dalle due ali del palazzo. Inoltre, la facciata presentava decorazioni delle quali oggi restano alcune tracce intorno alle finestre del basamento bugnato e del piano nobile. Il bugnato del basamento è del tutto simile a quello della facciata della Chiesa del Gesù Nuovo.
Col passare degli anni, vista la crescente importanza che assumeva la famiglia Carafa, la casa diventò sempre più una residenza nobiliare, soprattutto dopo che Luigi Carafa, principe di Stigliano, affidò alcuni lavori a Tito Manlio, tra cui anche la costruzione della fontana del giardino, che reca gli stemmi della famiglia e di tutte quelle ad essa collegate. Con lo stesso Luigi, marito di Isabella Gonzaga, il palazzo diventò un animato centro culturale, al quale partecipavano molti letterati, tra cui anche Giovan Battista Basile e Giovan Battista Manso.
In seguito, nel 1630, l’unica erede dell’intero patrimonio era Anna Carafa che, nel 1636, sposò il futuro vicerè don Ramiro Nuñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Undici anni più tardi, l’edificio fu preso di mira da Masaniello e dai rivoluzionari, mentre nel 1657, durante l’epidemia di peste che colpì la città, la famiglia Carafa consentì ai monaci della vicina chiesa di Sant’Orsola di usarlo come lazzaretto. L’ultimo erede fu Nicola Carafa finché, dopo la sua morte avvenuta nel 1689, venne confiscato e messo all’asta nel 1695. Così, il nuovo proprietario divenne Antonio Giudice, Principe di Cellamare, che sborsò 18000 carati per accaparrarsi il palazzo. Nel 1726, Ferdinando Fuga fu chiamato a restaurare l’edificio, soprattutto per quanto riguarda la decorazione delle facciate e la costruzione dell’arco d’ingresso, sul quale venne posizionata la scritta “Antonius Judice Juvenatii Dux”. Quest’ultimo elemento architettonico venne realizzato in pietra lavica, con lesene laterali che sorreggono la mensola su cui è posizionato lo stemma nobiliare in marmo bianco.
Lo stesso architetto, realizzò anche la Cappella del Carmelo.Situata nel primo cortile, di pianta rettangolare e con ingresso attraverso un portale in piperno. All’interno, una copertura con volte a vela. Nello stesso periodo, il nuovo proprietario si preoccupò di far restaurare gli affreschi eseguiti da Luigi Romano, a cui ne fece aggiungere altri da Pietro Bardellino, Giacinto Diano, Fedele Fischetti e, probabilmente, anche Giacomo del Po.
Nel 1760, quando ormai il casato della famiglia Giudice si stava estinguendo per mancanza di eredi maschi, l’edificio venne dato in affitto al Principe di Francavilla, Michele Imperiali. Con lui l’edificio attraversò un altro periodo di splendore vista l’importanza degli ospiti che riusciva ad attirare, tra cui anche Goethe e Casanova. Intanto, nel 1787, l’edificio diventava proprietà di Francesco Caracciolo, Principe di Villa, che sposò Eleonora Giudice. Dopo la rivoluzione del 1799 e la fine del contratto di affitto con Michele imperiali, l’edificio, dopo alcune vicissitudini ereditarie, nel 1822 ritornò in possesso della famiglia Caracciolo Giudice.
Nel 1948 è stato aperto in alcune cave di tufo al di sotto del palazzo (usate a suo tempo per reperire i materiali di costruzione dell’edificio) il cinema-teatro Metropolitan, su progetto dell’architetto Stefania Filo Speziale. Il cinema, famoso per essere il più capiente della città (circa 3000 posti) è stato riaperto negli anni duemila dopo un lungo periodo di chiusura e riadattato a seguito di specifici lavori.