Maurizio De Giovanni è una delle forme espressive e d’espressione più autentiche e sincere della napoletanità.
Quella napoletanità genuina, perbene, elegante anche se vestita di sommessa umiltà, capace di farsi comprendere da chiunque, anche quando parla in dialetto; quella che, contrariamente a quanto vorrebbero indurci a credere, non “resiste” né “sopravvive”, ma “esiste”; quella che sa ribellarsi ed opporsi ai luoghi comuni, agli stereotipi, alle becere forme di discriminazione, alle ingiustizie, agli abusi ed ai soprusi.
Anche se questo vuol dire abbracciare lo scomodo destino al quale va incontro chi si ripropone di preservare una dignitosa e pulita onestà intellettuale, scevra da compromessi e faziosi vincoli di natura meramente economica e politica, per conferire respiro, priorità e visibilio alla libertà. Nella sua forma più indomabile, vibrante, ma soprattutto pericolosa.
La libertà di pensiero che guida ideologie, valori, azioni, intenzioni, parole e versi di “quelli come De Giovanni”, non è quella “apparente”, ovvero, quella convenzionalmente percepita e praticata, ma che, in realtà, vive relegata in talune recinzioni, austere e ben delineate “dai piani alti” e che sanciscono la linea di confine da “non” valicare per non rimanere imbrigliati in “situazioni scomode”. Bensì, “la libertà di quelli come De Giovanni” è quella che ha consentito alla “Tv di Stato” di uscire allo scoperto, mediante quella sbraitata, pregna di più o meno velate minacce, ma, ancor più, di paura.
Quella paura palpabile che trapela al cospetto di chi, tra sconcerto ed ammirazione, munito del libero ed indomito coraggio, doveroso e necessario, ha saputo concedersi una lunga e rigenerante galoppata ideologica lungo quelle praterie che si estendono “oltre la linea di confine”.
Inutile, insensato, ridicolo e fuori luogo, appare il triste tentativo di “tirare le briglie” per relegare in quel recinto un’anima che ha scelto d’essere libera.
In tutta onestà, ringrazio sinceramente Maurizio De Giovanni, prima da napoletana e poi da giornalista, perché, in quanto figlio di questa terra, ha dimostrato, ancora una volta, non solo un viscerale attaccamento alla maglia azzurra, ma ha conferito a quest’ultima la voce più dignitosa e vibrante, degna di personificare i sentimenti, i valori e gli ideali di cui, quella sessa maglia, da sempre è portatrice e detentrice.
“Il maestro” ha ribadito e ricordato, a noi per primi e poi all’Italia intera, che i napoletani crescono imparando a convivere con la minaccia rappresentata dal vulcano inattivo più temibile al mondo e che troneggia, perennemente, sulle loro vite, pertanto, non possono avere paura di “eruttare libertà”.
I napoletani come De Giovanni sanno che in quei beceri canti dedicati al Vesuvio, in quei “lavali col fuoco” che riecheggiano sugli spalti degli stadi italiani e che vengono intonati anche durante taluni raduni politici, in realtà, si cela tutto il timore che la napoletanità, la lungimiranza e la prepotente forza che anima l’indole di questo popolo, sono in grado di sortire.
Dal punto di vista professionale, all’uomo, Maurizio, sono infinitamente riconoscente per quanto, nel corso degli anni, ha saputo insegnarmi, ha saputo insegnare a tutti “i cavalli” animati dalla medesima ambizione di spingersi oltre “quella linea di confine” per “essere giornalista” e non “fare il giornalista”.
A Maurizio rivolgo un sincero “grazie” per aver inferto una sincera e sonora “lezione di libertà”. A tutti.