Max Oliva è un attore ed autore, innamorato dell’arte, forgiato dalle vicissitudini della vita quanto basta per giungere a concludere che “fare arte”, in Campania, non può essere un mestiere. Giunge, così, a vestire la tuta da personal trainer e dalla fusione tra l’anima artistica e la figura professionale nascono innumerevoli progetti a sfondo sociale.
Cortometraggi brevi, eloquenti, incisivi, volti a smuovere le coscienze: la violenza sulle donne, la donazione degli organi. Tempi impegnati ed impegnativi, proposti senza troppi preamboli e corbellerie, sviliti di quella patinatura più confacente al messaggio convenzionale per collocare al centro dell’attenzione l’essenza del tema, nella sua più nuda e cruda essenza.
Cortometraggi e spot che risultano piuttosto scomodi, perché “la gente vuole ridere e non pensare”, racconta lo stesso Max.
La sua vita, di personal trainer e di appassionato d’arte, è ambientata a Santa Maria Capua Vetere: nel cuore della “Terra dei Fuochi”. Nel bel mezzo di veleni, disperazione, speculazione e, soprattutto, morte.
Max, quindi, sente il bisogno di esprimere il dramma che attanaglia la sua terra, la sua gente, i suoi cari, servendosi di un cortometraggio dal titolo “La Terra del Silenzio”.
Un video che affronta il tema in maniera diretta, ideato ed animato da un sentimento complesso e ribelle, condito da rabbia mista a dolore, capace di sprigionare quell’urlo di silenzio, proprio di chiunque si relazioni con quel male senza volto, cruento, dilaniante, spietato.
“Ormai, le morti generate dai tumori vengono concepite come una realtà normale, al pari di un incidente stradale e trovo che sia inammissibile, – spiega Max – almeno per me, non è normale che quel male abbia ucciso mio padre, tanti miei amici ed abbia colpito anche mia madre. Questo cortometraggio – che ha saputo conquistare anche la finale del “Napoli Film Festival” – è il canale attraverso il quale ho voluto far convergere il mio sfogo, la mia rabbia nei confronti di chi ha imposto alle nostre vite questo terribile destino. Affinché se ne parli, affinché si giunga a comprendere che morire di tumore non è e non deve essere normale. E, soprattutto, che non si tratta di un problema che investe solo chi lotta contro questo male, ma riguarda di tutti.
Durante l’esperienza maturata accompagnando mia madre lungo tutto il calvario che percorso e vissuto, quando la sua vita è stata presa in ostaggio da quel brutto male, mi sono reso conto che lottare contro un tumore è l’esperienza più brutta che un essere umano possa vivere, in maniera diretta, ma anche indiretta. Pertanto – aggiunge Max – mi auguro che si possa lavorare anche e soprattutto per rendere meno pesante e più indolore possibile l’iter che le persone malate di tumore e, di riflesso, i loro familiari, sono chiamati a percorrere e sostenere. Infine, – conclude Max – desidero lanciare un messaggio a coloro che vivono accanto a persone che lottano contro questo male: curate la loro alimentazione, educate voi stessi e i vostri cari al consumo di alimenti più salubri e genuini e soprattutto cercate di tenere vivo in loro il desiderio di praticare attività fisica: una passeggiata, a piedi o in bicicletta, è un ottimo modo per tenersi in forma ed allontanare qualsiasi forma di abbattimento.”
Max ha definito il suo cortometraggio “una piccola goccia gettata in un mare d’indifferenza”, scevro dal desiderio di lucrare su un dramma erto fin troppe volte a “vetrina” per i “soliti millantatori di false illusioni”, ma piuttosto animato dalla sincera voglia di fare. Così come in maniera nitida e toccante giungono ad esprimere le immagini, capaci di giungere a toccare quelle corde dell’anima rese inaccessibili alle parole.