“ Attenzione…battaglione…è asciuto pazzo o’ padrone…
…È una brava persona…è padrone di una pasta di sostanza…
…quando l’avrete mangiata…vi riempirete gli intestini e la panza…”
Una delle città che può annoverare tra i suoi pregi creatività e fantasia è senza dubbio Napoli. La città partenopea, da tempo immemore, è sempre stata soggetta a periodi di forti crisi economiche e sicuramente “l’Arte dell’arrangiarsi” è una componente innata di questo popolo coraggioso che non si è mai arreso alle difficoltà, inventandosi mestieri e attività commerciali, laddove il lavoro, quello serio, quello ufficiale, non c’era. C’è da dire, che non sempre le iniziative sono risultate lecite, ma nella stragrande maggioranza dei casi, viene premiata, ancora oggi, l’inventiva.
Il padre per antonomasia dei mestieri inventati risale alla fine del 1700: ” ‘O Pazzariello “
Ossia, un mestiere ambulante e saltuario, esercitato da chi senza un lavoro, pur di guadagnare quel poco per vivere o per arrotondare, si vestiva bizzarramente con abiti d’epoca che ricordavano un Generale Borbonico: una marsina con bordi argentati, una camicia con svolazzi nascosta da un panciotto di color rosso fuoco, brache colorate a strisce bianche e nere, che a mezza gamba poggiavano su calzettoni color rosa sgargianti, scarpe con ghette e per copricapo una feluca inghirlandata. Per darsi un po’ di tono, sul petto della marsina appuntava patacche senza valore, come fossero fregi.
Vestito di tutto punto, ‘O Pazzariello si presentava in pubblico impugnando in una mano un bastone dorato e nell’altra, bene in vista, un fiasco di vino, o altri prodotti di prima necessità (pane, pasta) che andava pubblicizzando per conto di una nuova “Cantina” (Osteria) o di una nuova “Puteca” (negozio alimentare).
‘O Pazzariello aveva un suo seguito di suonatori, in genere monelli e scugnizzi di strada, che lo seguivano armati degli strumenti più singolari della tradizione popolare napoletana: il Crocrò (bastone che scorre attraverso un panno bagnato con il verso di un corvo), lo Scetavaiasse (dischi di latta sibilanti tra due bastoni), l’Acciarino (tintinnanti triangoli), il Triccheballacche (assordanti martelletti), il Putipù (sorta di tamburo a frizione) e il Tamburino (piccolo tamburo portato a tracolla).
L’arrivo del Pazzariello, era quindi udito a grossa distanza; musica , balletti improvvisati (per lo più volutamente ridicoli) e filastrocche e lo spettacolo aveva inizio: ” Uommene e femmene, gruosse e piccirille … ”
Per avere una idea precisa di chi era ‘O Pazzariello, basta vedere o rivedere il film ideato da Vittorio De Sica, che trasse dal libro del grande scrittore Marotta “ L’oro di Napoli”, dove il personaggio del Pazzariello fu interpretato magistralmente da quell’artista che fu Antonio De Curtis, in arte Totò.
Figura scaramantica dell’antica tradizione folcloristica napoletana ormai quasi dimenticata, ‘O Pazzariello, grazie ad un’idea di Ugo Cilento, torna come simbolo di un “mestiere” sulle cravatte della Maison di moda napoletana Cilento 1780.
Ugo Cilento, che guida la maison per l’ottava generazione consecutiva, ha dedicato a ‘O pazzariello, l’ultima nata della serie di cravatte che celebrano i mestieri e le professioni, dagli avvocati, ai medici, ai ladri.