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È morto Pasquale Barra: il killer più spietato di sempre. Nella realtà e sul set

Luciana Esposito di Luciana Esposito
28 Febbraio, 2015
in Cronaca, In evidenza
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showimg2 (2)Giuseppe Tornatore prima di Roberto Saviano e O’ Professore ‘e Vesuviano prima di Genny Savastano, adattarono alla pellicola cinematografica il primo, grande “romanzo criminale” ambientato all’ombra del Vesuvio ed ispirato a fatti, omicidi e vicende camorristiche che realmente tenevano in ostaggio Napoli e l’hinterland vesuviano.

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“Il Camorrista” è il titolo del film risalente al 1986 ed ispirato all’omonimo romanzo di Giuseppe Marrazzo che rese pubblici gli intrecci criminosi che minavano le vite di Donna Rosaria, Alfredo Canale, Gaetano Zarra.

Proprio quest’ultimo resta, fin qui, uno degli assassini più spietati che il piccolo e il grande schermo abbiano mai ospitato, perché Pasquale Barra, uno degli esponenti di maggiore rilievo della Nuova Camorra Organizzata, esattamente come lo era “il suo clone” nell’ambito della “Camorra Riformata” nella finzione – è stato davvero uno dei “macellai” più crudeli del mondo criminale.

Nel mondo reale, così come in quello che si aziona grazie a un “ciak”.

Pasquale Barra è morto oggi, mentre scontava l’ergastolo nel carcere di Ferrara. Condanna ampiamente legittimata dai 67 omicidi che portano la sua firma, molti dei quali compiuti nelle diverse carceri italiane dove ha soggiornato frequentemente dal 1970. Nel mondo della criminalità organizzata, prima il suo stretto legame con Cutolo (o’ professore) e poi l’efferatezza che contraddistingueva i suoi delitti, hanno fatto sì che gli venissero attribuiti due soprannomi: “o ‘ studente” e “o ‘ nimale”.

La stampa lo ha ribattezzato “il boia delle carceri” per l’incredibile facilità con cui uccideva i carcerati su commissione.

L’omicidio che più di ogni altro ha concorso ad accrescere la sua fama di “creatura inumana” è quello di Francis Turatello, malavitoso milanese, alias “Frank Titas” nella finzione. La terribile esecuzione – avvenuta nel carcere Badu ‘e Carros di Nuoro il 17 agosto 1981 – è ricordata per un motivo ben preciso: Barra ferisce l’uomo con quaranta coltellate e lo squarta azzannando alcuni organi interni con l’aiuto di Vincenzo Andraous.

Tuttora, la stampa ricorda questo omicidio come uno dei più feroci compiuti in Italia.

Tra gli omicidi commessi dal fedelissimo adepto di Cutolo, si ricordano, in particolare, l’esecuzione di Antonino Cuomo, capozona di Castellammare di Stabia e quello compiuto ai danni di Domenico Tripodo, capo ‘ndrangheta calabrese.

Il 23 novembre del 1980, nel corso del terribile sisma che colpì il capoluogo campano, Barra partecipò ad una rissa nel carcere di Poggioreale che costò la vita a tre detenuti e il ferimento di otto camorristi passati ad un clan concorrente, inoltre, ebbe un ruolo di rilievo nell’omicidio di Francesco Diana, consigliere comunale socialista di San Cipriano d’Aversa, colpito con trentacinque coltellate nel carcere di Aversa. Così come riproposto nel romanzo/film, Barra fu il primo a dissociarsi da Raffaele Cutolo e, grazie al suo pentimento, rese possibile il più grande attacco mai portato dalla giustizia alla camorra. Alla base del suo pentimento, il profondo senso di tradimento da parte di Cutolo che proprio in seguito all’omicidio Turatello e di fronte alle pressioni della mafia siciliana, sostenne di non esserne il mandante, scaricando tutte le colpe su Barra. “Quel pazzo ha agito di testa sua”: afferma Donna Rosaria al cospetto dei capi siciliani, nella scena del film in cui si apprende la notizia della morte di “Frank Titas”, mentre si festeggia il matrimonio del “Professore”.

In seguito alle rivelazioni di Barra e dei pregiudicati Giovanni Pandico e Giovanni Melluso, fu possibile il blitz del 17 giugno 1983 in cui vennero arrestati 850 presunti affiliati della Nuova Camorra Organizzata, tra cui l’insospettabile Enzo Tortora.

Giornalista, conduttore televisivo e politico, Tortora fu una clamorosa vittima della malagiustizia. Accusato di gravi reati, ai quali tuttavia era totalmente estraneo, sulla base di asserzioni provenienti da vari condannati per reati di mafia e di uso di testimoni non attendibili, tra cui, per l’appunto, Barra: per questo motivo è stato arrestato e imputato di associazione camorristica e traffico di droga. Dopo 7 mesi di carcere e arresti domiciliari ingiustamente scontati, la sua innocenza è stata dimostrata e riconosciuta dalla stessa magistratura che lo aveva coinvolto e che lo ha definitivamente assolto.

Barra, al fine di ottenere una protezione in carcere, fornisce liste di presunti camorristi nel corso di 17 interrogatori, ma solo al diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile 1983, fa il nome di Tortora definendolo un affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e responsabile del traffico di droga. Barra rifiuterà di deporre e di confermare le accuse sia al processo di primo grado che in quello d’appello. Le accuse si riveleranno infondate.

In realtà, il pentimento di Barra apparve subito controverso. Nel corso delle indagini i giudici scoprirono uno dei tanti tentativi di estorsione da lui compiuti per approfittare della sua posizione di pentito. Barra aveva scritto una lettera ad un concessionario di Casoria dove il camorrista chiedeva 15 milioni per non fare il suo nome nel corso degli interrogatori. In realtà, quello di Barra non si può definire un vero pentimento bensì una semplice dissociazione da Cutolo per ragioni personali. Infatti, Barra ha continuato a pensare, agire e vivere come un camorrista fino alla fine dei suoi giorni.

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