Le immagini risalenti a meno di 10 giorni fa, in cui, un “angelo terrestre” assume le repentine e fugaci movenze di una sirenetta per tuffarsi sulle acque che bagnano la Spiaggia Romana di Bacoli per salvare una balena, hanno destato ammirazione e scalpore sul web. Il video che immortalava le gesta di Debora, divenuto subito virale, è stato diffuso, commentato, condiviso e perfino i tg nazionali lo hanno mandato in onda.
Debora Di Meo, 36 anni, imprenditrice con un ristorante a picco su quella spiaggia, madre di un bimbo di appena nove mesi: è lei l’angelo che ha barattato le ali con le pinne ed ha messo a repentaglio la propria vita per salvare un cetaceo da morte sicura.
La balena spiaggiata era rimasta incastrata tra gli scogli sotto un’antica villa romana, sulla spiaggia della famigerata zona del Fusaro. Qualcuno ha notato quello che sembrava troppo grande per essere un delfino, dibattersi in una rientranza fra le rocce di tufo a pochi metri dalla riva. Hanno capito che sarebbe morta, come tanti cetacei disorientati dai sonar delle barche o impigliati nelle reti. E hanno chiamato Debora che pesca in apnea, ma soprattutto ama il mare e lo rispetta. Un gesto d’amore e di coraggio verso “un piccolo” di balenottera comune, la Balaenoptera physalus, più di 8 metri di lunghezza e due tonnellate di peso. In pratica, il secondo animale per dimensioni mai esistito sulla terra, che da adulto arriva a 80 tonnellate per 24 metri.
Un gesto divenuto più che popolare e che, di riflesso, ha erto ad eroina la sua protagonista, oggi, autentica star del web e che, intervistata da “Repubblica”, racconta quegli attimi, concitati ed emozionanti, che le hanno permesso di salvare la vita al cetaceo.
“Una balena, che mi è sembrata un cucciolo, – racconta Debora – si era fatta strada tra gli scogli entrando da una secca, ed era rimasta bloccata in venti centimetri d’acqua proprio sotto le rovine della villa romana di Servilio Vatia descritta da Seneca, davanti all’antro di Cerbero. Era poggiata sul fianco sinistro e su quello destro aveva una profonda ferita. Soffiava e sbatteva e nel tentativo di liberarsi si stava procurando altre lacerazioni sulla pinna. Tutti guardavano, ma nessuno si muoveva. Così mi sono decisa. Indossavo jeans, maglione e scarpe da ginnastica. C’erano 7 o 8 gradi, per fortuna non pioveva, ma l’acqua era gelata. Mi sono tolta solo la giacca e mi sono tuffata.
Di mestiere faccio la ristoratrice, ho casa e locale su questo sperone di roccia e il mio compagno è proprietario di un locale proprio su questa spiaggia dove sono in corso lavori di ristrutturazione in vista dell’estate. Sono stati gli operai e la mia famiglia ad allertarmi. Mi sono precipitata. Sono un’amante del mare, non si può lasciar morire un animale così. Ho raggiunto a nuoto lo specchio d’acqua dove la balenottera stava combattendo per salvarsi. Non sapevo che cosa avrei fatto. Mi sono affidata all’istinto. La mia esperienza in salvataggi era zero, ma quell’animale era davvero in difficoltà: sono genovese, ma di genitori flegrei, e vivo da 14 anni su questa costa. Mio padre era armatore navale e a noi figli ha insegnato prima a nuotare e poi a camminare. L’unica esperienza che posso paragonare a questa è uno squalo che trovammo sulla spiaggia a Shark River Hills, nel New Jersey, dove ho vissuto due anni. Ma era già morto. Un animale grande come questa balena non l’avevo mai visto prima.
Non ho avuto paura. Non c’era tempo. La balenottera sbatteva così forte, c’era il rischio che si incastrasse di più. Quando mi sono avvicinata però forse ha capito che volevo aiutarla e ha smesso di dimenarsi. È stato un bell’incontro ravvicinato: aveva la pelle molto liscia, ma durissima, ma soprattutto ricorderò sempre i suoi occhi, i nostri sguardi si sono incrociati. Ho spostato la sua testa verso l’uscita dalla “gabbia” di scogli e ho cominciato a spingere. Per fortuna ha trovato una sorta di canale nel quale è riuscita a infilarsi e con qualche altro colpo di coda ce l’ha fatta a tirarsi fuori. Uscita dalla secca, nei pressi dei resti archeologici della peschiera della villa romana, la balena è tornata indietro venendo verso di me. Mi è sembrato quasi che volesse dirmi grazie. Poi si è rigirata ed è andata via. Lungo questo tratto di costa capita spesso di avvistare delfini, ma non sapevo che ci fosse un canyon verso Cuma dove le balene come quella che ho incontrato io vengono a riprodursi. Me lo ha spiegato una ricercatrice che segue i cetacei nel Golfo di Napoli. Hanno anche tentato di riconoscerla dalle foto, ma non è stato possibile.
Chi conosce i cetacei dice che ho rischiato grosso. I miei familiari mi hanno rimproverato: una madre di un bambino piccolo, certe cose non dovrebbe farle. Ma io ho agito d’istinto, non ho riflettuto molto. Mentre gli altri cercavano di contattare la Capitaneria di Porto o la Protezione animali, ho voluto tentare. La trovo una cosa normale. E non ho dubbi: lo rifarei anche adesso”.