“Solo oggi apprendo che uno dei ragazzi che hanno fatto il laboratorio con me sul rap al penitenziario minorile di Airola è stato barbaramente ucciso da sei colpi di arma da fuoco. Aveva 21 anni e milleuno sogni, uno spiccato talento per il rap. Siamo in guerra, una guerra che nessuno vuole vedere. Non so perché sia successo Solo rabbia, non si può morire uccisi a ventun’ anni. R.I.P. Mauro. “Stamme semp ccà sempe a suffrì, sul ‘e frat’ mì me ponne capì, Vulesse tenè ‘a forz pe fà ascì a rint’ a ‘stì cancell pe n’e ffà patì”
L’autore di questo post apparso su facebook è il rapper partenopeo Lucariello, colui che, – insieme a Ntò – interpreta il brano “Nuje Vulimme na Speranza”, sigla finale della fiction “Gomorra – La Serie”, serie cult ambientata nella stessa periferia a Nord di Napoli, contaminata da piazze di spaccio e discariche abusive, dov’è nato e cresciuto Luca Caiazzo, in arte Lucariello.
Mauro, il 21enne al quale fa riferimento il rapper è un potenziale personaggio da “Gomorra” radicato sul set della vita reale, andato incontro a quel prematuro e tragico destino poco dopo essersi lasciato l’esperienza del carcere alle spalle.
Si tratta di Mauro Buonvolere, il ragazzo ucciso in un agguato messo a segno durante un sabato pomeriggio qualunque, quello dello scorso 7 febbraio, in via Settetermini, a Boscoreale.
Un sabato qualunque, uno di quelli che i 20enni trascorrono tra l’odore di una spuntatina ai capelli nel salone del barbiere di sempre, una “bolletta” giocata in un punto scommesse e che determinerà imprecazioni e sussulti della successiva domenica calcistica, le chiacchiere da bar, uno snack fugace, una moneta svogliatamente infilata in un videopoker, gli spintoni e gli sfottò tra amici che si consumano in un circolo qualunque.
Un circolo come quello che è stato erto a testimone omertoso dell’agguato che ha spento la vita di Luca.
Un circolo ubicato nelle cosiddette “palazzine”, nota piazza di spaccio della zona, in una periferia qualunque, dove il degrado e le angherie superano di gran lunga le opportunità come quella suggerita dall’intreccio, fugace, ma sincero, tra la sua storia e quella di Lucariello. Il giovane, già noto alle forze dell’ordine per reati connessi allo spaccio di droga e al possesso di armi clandestine, era uscito dal carcere circa 5 mesi prima.
Prima di imbattersi nella scena finale, dopo aver intravisto “l’opportunità“: quella insita nel colore delle rime e nei sorrisi che germogliano attraverso la musica.
Sorrisi puliti, spensierati, scevri di patemi e tassatività, pregni di quei piccoli, ma iridescenti tasselli che sanno rendere la vita migliore. Che rendono la vita migliore.
Tasselli che sbiadiscono al cospetto della “vita cruda”: quella che si consuma oltre le sbarre, ma che personifica prigioni dalle quali fuggire è impossibile. Dove l’unica, vera e realmente liberatoria forma di evasione è la morte.
Non è Gomorra. È la vita reale.
Ed è questa consapevolezza a rendere tutto più amaro, rabbioso e difficile. Anche dopo aver pigiato il testo rosso del telecomando.