Francesco Schettino: l’incarnazione dell’italiano medio. E, forse, è anche uno dei ritratti più feroci e sinceri della coscienza del nostro Paese.
Pronto a negare tutto e il contrario di tutto e a mentire, anche dinanzi all’evidenza, pur di tener fede ad un alibi, labile e sterile, per poi distruggere in un pianto quella temeraria e forte figura faticosamente costruita: “Sono stato accusato di mancanza di sensibilità, ma il dolore non va esibito per strumentalizzarlo. Non volevo questo, il 13 gennaio del 2012 sono in parte morto anch’io, non è vita quella che sto vivendo” ha detto piangendo il comandante in aula, nelle ultime dichiarazioni spontanee prima della sentenza.
Parole che contrastano con quell’immagine di arroganza che non l’ha abbandonato mai, ma forse pronunciate troppo tardi da uno che comunque di parole, da quel 13 gennaio, ne ha dette ben troppe.
Le foto al white party di Ischia, l’estate scorsa, apparse sui giornali nei giorni in cui il mondo aveva gli occhi incollati sull’isola del Giglio e sull’ultimo viaggio della Concordia. “Se qualcuno ha piacere di farsi fotografare con me… una foto non l’ho mai negata a nessuno, né quando ero comandante né ora. La considero una manifestazione di affetto e stima nei miei confronti“. E, soprattutto, la lezione sulla gestione del panico all’università la Sapienza di Roma, il 5 luglio dell’anno scorso: “Sono stupito per tutto questo putiferio, mi sono limitato a descrivere l’incidente, che conosco bene. Il mio è stato un intervento tecnico sulla scorta delle mie conoscenze“.
Sempre più uomo copertina, sempre più personaggio mediatico, sempre più nell’occhio del ciclone e soprattutto sempre più stretto nella morsa di un verdetto facilmente prevedibile.
Schettino condannato a 16 anni di reclusione e un mese di arresto per il naufragio della Costa Concordia, ma non andrà in carcere. Il tribunale di Grosseto ha confermato tutti i reati per cui era accusato, anche quello di abbandono della nave (1 anno di condanna compreso l’abbandono di incapaci) e, insieme, naufragio colposo (5 anni), omicidio plurimo colposo e lesioni colpose per i 32 morti e i 157 feriti del disastro (10 anni). Il mese di arresto è per aver dato informazioni non corrette alla capitanerie di porto.
In definitiva, molto meno dei 26 anni che la procura di Grosseto, anche appoggiandosi ai massimi edittali, aveva chiesto in requisitoria, però completamente in linea con i reati di cui il comandante Schettino è stato imputato. Unica cosa respinta alla procura, la richiesta di arresto: non c’è pericolo di fuga – hanno motivato in un’ordinanza i giudici -, né può esserne giustificazione l’eventuale gravità della pena. Quindi niente carcere per l’imputato che è stato interdetto dalla professione di comandante per cinque anni.
Il tribunale ha anche stabilito risarcimenti per le parti civili, sia enti pubblici (tra cui il Governo), sia per i naufraghi, passeggeri e membri dell’equipaggio.
Pagheranno ‘in solido’, Schettino e Costa Crociere spa, responsabile civile nel processo.
Tra le provvisionali, 1,5 mln per il ministro dell’Ambiente, uno per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, 500.000 euro per ministeri di Difesa, Infrastrutture, Interni e Protezione Civile. Sarà risarcita anche l’unica vittima dei 32 deceduti sulla nave per cui qualcuno si è costituito nel processo: una cittadina tedesca senza eredi che è stata rappresentata dal suo Governo. I parenti delle altre vittime avevano già trattato i risarcimenti fuori dal processo. Invece, tra i passeggeri, compare Domnica Cemortan, la moldava che cenò con Schettino e salì in plancia per l’inchino al Giglio: per lei, come per gli altri, i giudici hanno quantificato 30.000 euro di danni.
Schettino è stato l’unico degli imputati a non accettare il patteggiamento: tutti uomini della Costa e la stessa società hanno ammesso le loro colpe davanti ad un tribunale. Responsabilità che emerge dalle immagini filmate a bordo della Concordia negli attimi successivi allo schianto, dove si vede palesemente che a regnare è il caos. Lo stesso Schettino ha fornito a riguardo un esempio imbarazzante durante un’udienza: “Il nostromo doveva farsi capire a gesti col personale asiatico e dell’est Europa poiché l’italiano, la lingua ufficiale, era disattesa dal personale straniero e l’inglese lo si usava così così.” Quella stessa notte, il timoniere indonesiano Jacob Rusli Bin, non capì gli ordini del comandante. “Forse pensavano di essere sul Concorde e non sulla Concordia e di volare sopra la montagna del Giglio” è stata l’infelice battuta pronunciata davanti ai giudici.
Una condanna, quella inferta al capitano della Concordia che mette d’accordo tutti e dipinge uno Schettino un po’ vittima e un po’ carnefice. Proprio come la coscienza del nostro Paese.