18 aprile 2011: il giorno in cui la 29enne, originaria di Somma Vesuviana, Carmela Melania Rea, scompare sul Colle San Marco di Ascoli Piceno, dove si era recata insieme al marito, Salvatore Parolisi, militare del 235esimo Reggimento Piceno e alla loro bambina di 18 mesi. Secondo quanto verrà riferito da Parolisi, la donna si allontana per andare in bagno in uno chalet. Nessuno però, si apprenderà in seguito, l’ha mai vista entrare.
È lo stesso marito di Melania, trascorsi una ventina di minuti, a dare l’allarme: Parolisi, non vedendo rientrare la moglie, chiama i soccorsi e fa scattare le ricerche. Il corpo della donna viene scoperto due giorni dopo, il 20 aprile, in seguito alla telefonata anonima di un uomo che, intorno alle 14.30-15.00, avverte il 113 da una cabina telefonica pubblica del centro di Teramo ma che non verrà mai rintracciato. La salma di Melania viene ritrovata in un bosco di Ripe di Civitella, nel teramano, a circa 18 chilometri di distanza da Colle San Marco, poco lontano dalla località chiamata Casermette, dove si svolgono esercitazioni militari di tiro. Presenta ferite di arma da taglio e una siringa conficcata sul suo corpo.
L’autopsia appurerà che Melania è stata uccisa con 35 coltellate, ma non vengono trovati segni di strangolamento e nemmeno di violenza sessuale.
Accanto al corpo di Melania viene trovato il suo cellulare con la batteria scarica. Poi viene ritrovata anche un’altra sim card. Il segnale del cellulare sarebbe stato attivo fino alle 19 circa. Poi, non si hanno più segnali. Parolisi non viene da subito iscritto nel registro degli indagati. L’avviso di garanzia gli viene notificato il 29 giugno 2012, a più di due mesi dall’omicidio della moglie Melania.
Gli inquirenti identificano il movente dell’omicidio nella situazione che si era creata con l’amante, la soldatessa Ludovica Perrone. La misura cautelare in carcere verrà confermata dalla Corte di Cassazione il 28 novembre del 2011: a 7 mesi dal delitto la prima sezione penale della Suprema Corte respinge il ricorso presentato dalla difesa del caporal maggiore che chiedeva di ribaltare l’ordinanza del Tribunale del Riesame dell’Aquila. Giudicato con rito abbreviato, Parolisi viene condannato all’ergastolo il 26 ottobre del 2012.
Il caporalmaggiore dell’Esercito viene condannato dai giudici di primo grado al massimo della pena, con isolamento diurno, per l’omicidio della moglie dal gup Marina Tommolini. A Parolisi il Gup commina anche tutte le sanzioni accessorie, compresa la perdita della patria potestà genitoriale, stabilendo inoltre il pagamento di una provvisionale di un milione a favore della figlia Vittoria e di 500mila euro per i genitori di Melania.
Il 30 settembre 2013 arriva la sentenza di secondo grado: Parolisi viene condannato a 30 anni dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila per l’omicidio della moglie Melania Rea.
In queste ore giunge un nuovo verdetto.
Per la Cassazione è da rivedere al ribasso la condanna a 30 anni di reclusione per Salvatore Parolisi: è da eliminare l’aggravante della crudeltà. Anche se viene confermata la responsabilità di Parolisi nell’omicidio della moglie Melania Rea.
«La Cassazione ci ha dato ragione, Parolisi è stato riconosciuto colpevole, volevamo che fosse individuato definitivamente l’assassino di Melania e l’assassino ora c’è. La quantità della pena non ci interessa». Questo il commento dell’avvocato Giovanni Monni difensore di parte civile dei familiari di Melania Rea dopo il verdetto della Cassazione.