Quella sera del 3 febbraio 2010, i due fidanzati Elisabetta Boncompagni e Francesco Montis e l’amico Tomaso Bruno si trovano per turismo a Varanasi, la città santa nel nord dell’India meglio nota come Benares.
Comprano hashish ed eroina per quello che sarebbe stato l’ultimo giorno in India. Probabilmente per overdose perché tutti e tre inesperti di droga, la mattina dopo Francesco non si sveglia. Inutili i tentativi di rianimazione da parte della ragazza e dell’amico, che prontamente si rivolgono alla reception dell’albergo di cui avevano affittato una camera tripla per la notte.
L’ospedale e la polizia non fanno vedere il cadavere a nessuno per un po’ di tempo, poi in un’autopsia effettuata da un oculista si legge che la causa della morte è “asfissia da strozzamento”, ma si cita anche una emorragia all’interno del cervello.
Inoltre, a causa delle scarse condizioni igieniche dell’obitorio, non sarà mai più possibile effettuare autopsie maggiormente accurate, poiché il corpo è stato morso da animali ed è venuto a contatto con sangue, liquame e pezzi di ossa altrui che si trovano in questo luogo.
Dal momento che in India non è socialmente accettabile che una donna dorma con due uomini nella stessa stanza, gli autori di questo “soffocamento” vengono individuati negli altri due ragazzi, che avrebbero cercato di uccidere l’amico perché un “ostacolo” alla relazione intima illecita e segreta tra Tomaso ed Elisabetta, sebbene smentita da tutti.
Dopo diciotto mesi di carcere, i due sono condannati all’ergastolo per omicidio il 23 luglio 2011.
Sono passati cinque anni, fatti di giornate trascorse in baracconi insieme ad altri centotrenta o centoquaranta detenuti, corrente elettrica solo per poche ore al giorno, niente acqua potabile, niente carta igienica e da notti in cui hanno dormito per terra. Raccontano di avere avuto un metro e mezzo circa a disposizione a testa, di aver passato il tempo su stuoie accanto a mafiosi, stupratori, assassini e della difficoltà di non ritrovarsi coinvolti in risse con le quali si veniva mandati a rapporto e presi a bastonate.
Tra infiniti rinvii a giudizio, finalmente sono stati rilasciati e la loro condanna annullata dalla Corte suprema indiana, dopo molto tempo in cui i media italiani hanno quasi ignorato la loro permanenza ingiusta e senza prove in carcere.
La lieta notizia è stata data sui social questa mattina dalla madre di Tomaso, che in tutti questi anni si è recata molto spesso in India, come anche i genitori di Elisabetta, per cercare di risolvere la grave situazione.
Il giudice che aveva emesso questa sentenza non voleva assolutamente discutere sulle ambiguità della stessa, nonostante la madre di Francesco avesse inviato una lettera per informarlo delle gravi crisi d’asma che solitamente il figlio accusava all’improvviso, in modo che i due amici innocenti potessero essere scagionati.