Il 2015 partenopeo si tinge sempre più di nero.
Dopo la sofferta morte di Pino Daniele, avvenuta lo scorso 5 gennaio, oggi, si è spento un altro pezzo pregiato “targato Napoli”.
All’età di 92 anni, infatti, è scomparso un altro dei più apprezzati ed apprezzabili autori cinematografici italiani: Francesco Rosi.
Nato, per l’appunto, nel capoluogo campano il 15 novembre 1922, Rosi è morto a Roma, dove si era trasferito diversi anni, fa dopo aver trascorso la giovinezza nella sua città.
È proprio a Napoli che nutre e coltiva una profonda passione per la pellicola: fin da bambino è attratto dal cinema, a soli tre anni vince un concorso fotografico indetto da una casa di produzione americana che cercava bambini somiglianti a Jackie Coogan, il bimbo protagonista de Il monello di Chaplin. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1946, Rosi viene assunto da Ettore Giannini come assistente teatrale nello spettacolo ‘O voto di Salvatore Di Giacomo: da lì passerà a collaborare con altri teatri, come aiuto regista, dove otterrà anche piccole parti come attore.
Rosi conquista stima e consensi soprattutto attraverso i lavori incentrati sull’evoluzione della società italiana, nel bene e soprattutto nel male, in tale ottica si colloca il suo capolavoro Salvatore Giuliano, del 1962, la cui trama è immersa in una tecnica innovativa e molto efficace, ancorata su flashback che irrompono sulla scena non rispettando un ordine cronologico.
A riconoscimento del suo genio creativo giungono diversi premi, quali: l’Orso d’Argento al Festival di Berlino e poi il Nastro d’Argento come miglior regista. Per il suo secondo capolavoro, invece, Rosi sceglie Rod Steiger per il ruolo del costruttore edile Eduardo Nottola in Le mani sulla città: un’incursione nella realtà italiana del boom economico e dei palazzinari. Il film torna a raccontare la sua Napoli, lo sfruttamento edilizio, la collusione tra malavita e Stato. Sarà un colpo allo stomaco per il cinema italiano: per la sua tragica bellezza, otterrà il Leone d’Oro al Festival di Venezia e due candidature ai Nastri d’Argento come miglior regista e miglior soggetto.
Aida Valli, Anna Magnani, Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Vittorio Gassman, Alberto Sordi: sono solo alcuni dei celebri nomi che contaminano le pellicole e la carriera di Rosi, uno dei più grandi narratori italiani, affermazione che trova concreta e tangibile conferma nel David di Donatello nel 1965, ricevuto insieme a Vittorio De Sica, come migliore regista.
Quello di cui si è avvalso Rosi è un modo diverso e lungimirante di omaggiare Napoli, denunciandone limiti e brutture, consentendo al marcio di emergere attraverso la riflessione, quella indotta dall’inconsapevole consapevolezza che solo il cinema sa rilasciare nell’anticamera della coscienza, mascherata dai frivoli, leggeri e finanche eleganti abiti della finzione.
Tramutare la verità in recitazione, senza svilirne la più veritiera essenza: questo è senz’altro il più grande merito attribuibile a questo talentuoso figlio di Napoli.