Spesso accade che, nella pratica vita quotidiana, così come nell’immaginario collettivo, il detenuto venga dipinto come un’enorme macchia nera, senza diritti né opportunità, come la più nociva, scomoda e deleteria delle erbacce.
Eppure, anche sotto i peccaminosi abiti di un “carcerato”, batte il cuore di un uomo.
Un uomo che ha commesso degli errori e che sta pagando il suo debito con la giustizia, ma non per questo assoggettabile a regole che ne violano la dignità e i diritti.
E la vicenda emersa nel corso delle ultime ore, rilancia proprio questa fragile e spinosa questione, rimarcandone i tratti irrisolti, riuscendo perfino a mostrarci fino a che punto può spingersi la grossolana superbia umana e quali tristi scenari può giungere a disegnare.
Un detenuto nella sezione di Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso, il 48enne napoletano Massimiliano P., aveva chiesto un permesso di due ore, con scorta, per visitare il padre gravemente malato.
Secondo la Corte di Appello di Napoli, però, non sussisteva il requisito dell’imminente pericolo di vita. Tuttavia, qualche giorno dopo, l’uomo è deceduto, senza poter riabbracciare per l’ultima volta il figlio.
La vicenda è stata denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio, Angelo Marroni.
Una storia condita da rabbia, tristezza, rimpianti e forse anche un rimorso generato dall’amara consapevolezza che quell’attimo non tornerà mai più e che quell’abbraccio negato, rimarrà eternamente perso.