Il periodo che va dalla notte di Natale a quello della Befana, tra vecchio e nuovo anno, è ricco di significati simbolici legati ai culti pagani del mondo rurale, scandito da riti propiziatori a cui si sono sovrapposti e mescolati miti più moderni legati alla nuova religione. La notte tra il cinque e il sei gennaio, con i festeggiamenti per l’arrivo della Befana, si conclude il ciclo dei dodici giorni che seguono la notte di Natale, uno per ogni mese dell’anno. Molto prima della festa cattolica, ai tempi della Roma imperiale, il venticinque dicembre era consacrato al Sole e nei giorni successivi era necessario che una grande quercia ardesse senza mai spegnersi. Dal carbone prodotto si sarebbero tratti gli auspici sulla produzione agricola per il nuovo anno: il carbone è un simbolo di fertilità legato ai culti femminili della Terra. È molto interessante questa oscillazione tra la simbologia maschile del Sole e quella femminile della Terra e della Luna. A favorire la prosperità nel nuovo anno agricolo, infatti, sarebbe stato il volo sui campi delle divinità della natura e della stessa Diana – dea della Luna – nei dodici giorni successivi alla festa del Sole, il che suggerirebbe la nascita del mito della donna che vola, trasformata col tempo, nell’iconografia misogina e cattolica, in una vecchia burbera e un po’ strega. Rispetto all’egemonia della cultura matriarcale della Vecchia Europa, infatti, la divinità femminile si ridimensiona sempre più, il mito lunare è subordinato a quello solare e verrà quasi scalzato dal Sol Invictus e poi dal Gesù cristiano.
Nella tradizione popolare attuale, la Befana porta in regalo ai bambini carbone e dolci, simbolo rispettivamente di ciò che resta del passato (non necessariamente negativo) e di buoni presagi per il futuro. Anche per questa festa pagana la Chiesa ha previsto una sovrapposizione cristiana, e il sei gennaio si festeggia secondo il calendario religioso l’Epifania, ovvero la “manifestazione” di Gesù bambino ai re Magi. In Spagna sono appunto i Magi a portare i regali di Natale ai bambini, che li ricevono quindi non il venticinque dicembre ma il sei gennaio.
In Italia invece, nonostante l’influenza della Chiesa, la tradizione pagana rimane predominante, soprattutto al centro e al sud, e la Befana a cavallo della scopa, come una strega benefica, rimane la protagonista assoluta di questa notte magica carica di mistero.
L’Epifania, infatti, è un giorno speciale perché vi ricorrono più eventi legati alla vita di Gesù: innanzitutto la sua manifestazione ai Magi, come già detto, ma anche il suo battesimo e il suo primo miracolo (l’episodio delle nozze di Canaa); non sorprende dunque che nella cultura popolare la si consideri una notte fuori dall’ordinario in cui possano continuare ad accadere dei prodigi. In Calabria si ritiene ad esempio che l’acqua delle fonti possa trasformarsi in vino o in olio – evento legato dunque all’abbondanza e alla prosperità.
Ma è un’altra la credenza calabrese che mi ha sempre incuriosito, a cui è legata un’usanza che a casa mia abbiamo sempre rispettato quando avevamo animali domestici. È convinzione, infatti, che durante questa notte gli animali possano parlare e, in particolare, gli animali domestici diano giudizi sui loro padroni. Per evitare che si lamentino e imprechino contro i proprietari bisogna farli mangiare bene e a sazietà. Naturalmente nella tradizione contadina le implicazioni di questa credenza andavano ben al di là del nutrire il gattino di casa, e riguardavano gli animali da lavoro, come i buoi. Secondo Guido Palange, nel suo Calabria misteriosa (Rubbettino Editore, 2010) la convinzione che gli animali parlino è estesa in alcune zone della Calabria anche alla vigilia di Natale; ad esempio a Limbadi, nella provincia di Vibo Valentia, ai buoi veniva addirittura riservato lo stesso trattamento speciale del cenone delle “tredici cose”, usanza calabrese che prevede di mangiare appunto tredici pietanze diverse. Ai buoi veniva dunque somministrato il foraggio misto ad altre erbe e infiorescenze per loro appetibili, arrivando al fatidico e simbolico numero di “tredici cose” (una per ogni giorno del tempo d’Avvento tra Santa Lucia e Natale), per scongiurare il pericolo di lamentele e bestemmie.
Inoltre, secondo la credenza ascoltare ciò che gli animali dicono può essere causa di sciagure, si rischierebbe anche di ascoltare profezie sulla propria morte. Una leggenda calabrese molto nota racconta di un contadino poco prodigo con il foraggio, che nella notte dell’Epifania lasciò a digiuno i propri buoi e si nascose nella stalla per soddisfare la curiosità di sentire le bestie parlare. Secondo Palange il fatto si svolse a Rose, paese della provincia di Cosenza: a mezzanotte i buoi si misero effettivamente a parlare dicendo che il loro cattivo padrone il giorno dopo sarebbe stato “un uomo morto sopra e sotto il carro”. L’uomo non capì il significato di quelle parole e il giorno seguente, quando spronò e colpì le bestie affamate, queste si imbizzarrirono e fecero rivoltare il carro, schiacciandolo e uccidendolo. Venne poi portato al cimitero con lo stesso carro, e si compì dunque la profezia secondo cui sarebbe stato “un uomo morto sotto e sopra il carro”. Leggenda o mito che sia, in Calabria si racconta questa storia e si provvede a una doppia razione di cibo per gli animali di casa o da cortile!
Imparentata con le divinità ancestrali dei campi ma imbruttita dalle paure degli uomini, la Befana conclude dunque il ciclo natalizio con la carica pagana della sua natura doppia, lunare, di strega e di benefattrice, da desiderare e da temere, come si confà ad una vera divinità femminile.