L’Italia, probabilmente tutta l’Italia, è un grembo obeso rimpinzato di rifiuti tossici.
Esiste “un’altra Terra dei fuochi” e non si trova nelle vicinanze di Acerra o Casal di Principe o di Lecce o di Catanzaro.
Si trova in Lombardia, nelle zone del bresciano, alle porte di Milano, nel bergamasco, intorno ai piccoli fiumi che finiscono nel lago d’Iseo e in aree che arrivano fino all’Emilia Romagna.
Una pattumiera che ingoia rifiuti provenienti dall’est Europa, dall’Australia e dai principali distretti industriali del nord Italia.
No. Non “gioite” di questa notizia.
Accantonate quell’arida acredine di longevo e ignorante astio che, da tempo immemore, divide l’Italia in due fazioni, geograficamente ed idealmente, distinte, contrapposte, contrastanti.
Una vita nordica stroncata da quello stesso male che abbiamo imparato a conoscere più che bene sulla nostra stessa pelle, genera analogo dolore e dissemina il medesimo e drammatico terrore che contamina le anime del Sud.
Una vita che si ammala di tumore al Nord, non ne salva una al Sud.
Entrambe, nel tragico e deturpante epilogo nel quale sfoceranno quegli sfortunati sospiri, trovano un logorante punto di connessione.
Quello che stiamo subendo e che ci è stato imposto di vivere, o meglio, di combattere per sopravvivere è uno dei disastri ambientali più tragici e devastanti della storia dell’umanità. Di tutta l’umanità.
Del contadino di Caianiello, così come dell’agricoltore di una parimenti anonima e sommessa realtà di campagna del bresciano.
Esattamente com’è accaduto qui, in Campania, per tempo immemore, anche “l’altra terra dei fuochi” è imbavagliata in un sudicio fazzoletto di omertoso silenzio.
Le magagne delle ecomafie rappresentano quel genere di realtà/notizia che non può e non deve essere divulgata, pubblicizzata, notificata. “Per il bene di tutti”.
Il problema legato allo sversamento di rifiuti tossici non è recente, ma da alcuni mesi l’attenzione, sociale e mediatica, si è nettamente concentrata sulla questione, in seguito alla scoperta di scorie provenienti dall’estero e sversate nella provincia di Brescia.
In virtù di tale scoperta, il procuratore generale della Corte d’Appello di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso – che fino all’anno scorso era il procuratore nazionale antimafia aggiunto – ha disposto che un pool di magistrati si occupasse dei reati connessi allo smaltimento illegale dei rifiuti e ha chiesto ed ottenuto una sezione della Dia a Brescia.
Le inchieste aperte che riguardano prevalentemente la zona di Montichiari sono ormai decine e attualmente sono in corso approfondimenti investigativi su alcune aziende che gestiscono discariche nella zona. Si parla di carichi di rifiuti provenienti perfino dall’Australia e dalla Slovenia.
Giungano dal mare, ma anche percorrendo le rotaie. Ad onor del vero, gli inquirenti stanno monitorando una serie di linee ferroviarie semi dismesse dei distretti industriali. La differenza che intercorre tra lo sversamento illegale che tiene banco al Nord, rispetto al Sud, va rilevata nell’“organizzazione”: non a caso, il territorio bresciano annovera una grossa esperienza ed un’articolazione territoriale di discariche lecite e illecite. Questo è quanto concorre a renderlo un territorio particolarmente appetibile: competitivo dal punto di vista dei costi, perché è una realtà di grandissima estensione ed, inoltre, probabilmente contempla anche un’organizzazione che agevola e favorisce il business e che assicura che tutto proceda senza alcun genere di sbavature.
Le associazioni ambientaliste parlano di oltre 30 milioni di tonnellate di scorie accumulate sul territorio bresciano dal dopoguerra ad oggi e secondo lo storico ambientalista bresciano Marino Ruzzenenti ogni anno si producono anche fino ad un milione di tonnellate di scorie.
Discariche che si estendono per chilometri e chilometri, cave, colline di scorie laghetti artificiali incorniciati da campi coltivati: esattamente lo stesso macabro quadro che ritrae la terra dei fuochi campana.
Nel pressi di Bergamo, il corpo forestale dello stato sta conducendo accertamenti su una collinetta su cui sorge un parco giochi con un enorme scivolo, perché sorge il sospetto che sia stato realizzato con scorie di fonderia, così come avvenuto per una serie di opere pubbliche, tra cui gallerie o la BreBeMi, la bretella autostradale che collega Brescia Bergamo e Milano, finita nel mirino della procura proprio per gli sversamenti illeciti di rifiuti.
Il comandante del corpo forestale di Bergamo Rinaldo Mangili racconta che negli anni Novanta i liquami industriali venivano spacciati addirittura per ammendanti agricoli e che le autobotti, approfittando della pioggia aprivano i bocchettoni lungo le strade e spargevano via i liquami che finivano nei campi coltivati.
I torrenti della provincia di Bergamo spesso presentano argini che sembrano sandwich: guarnizioni, scarti di fonderia, scarti di industrie tessili che di tanto in tanto si staccano e seguono il corso d’acqua che si getta in altri fiumi e laghi (soprattutto quello d’Iseo) e irriga i campi coltivati circostanti portandosi dietro il veleno. Anche in questa zona l’incidenza dei tumori è molto alta. I medici per l’ambiente di Brescia e le madri-coraggio del Nord denunciano un’altissima incidenza di tumori infantili.
Una realtà ben poco discostante da quella che delinea i tirati somatici della Terra dei fuochi è quella che si respira nei dintorni del capoluogo lombardo: in tale ottica si collocano le numerose inchieste della dda di Milano che narrano i rapporti, decennali e consolidati, che intercorrono tra imprenditori milanesi e la ‘Ndrangheta che, proprio nel profondo Nord, ha avviato una duplice attività: costruzione di edifici e sversamento illegale di rifiuti industriali.
Un’indagine che sancisce una sconfitta letale per il popolo italiano e che, al contempo, consegna un amaro verdetto: da decenni, il business delle ecomafie ha sancito la nostra condanna a morte, mentre, arbitrariamente, abbiamo scelto di avvelenarci l’anima alimentando un odio che poteva e doveva essere incanalato vero “il vero nemico”.