18 dicembre del 2010. Mohamed Bouazizi, un attivista tunisino, vittima di soprusi da parte della polizia, decide di darsi fuoco davanti alla folla.
Un gesto estremo, disperato, folle, figlio di un’estenuante ed avvilita esasperazione.
Un gesto che fa scattare l’indignazione generale e un’ampia mobilitazione in tutta la Tunisia, in seguito battezzata Rivolta del gelsomino (dal nome del simbolo nazionale).
E’ il 18 dicembre del 2010 quando sboccia il primo atto di quella che, prontamente, fu denominata dai media primavera araba.
Le immagini che si rincorrono e si susseguono sui media internazionali alimentano un effetto domino, scatenando un furioso effetto a catena che induce a scendere in piazza milioni di cittadini nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa, esasperati da decenni di povertà, fame e negazione dei diritti fondamentali e vessati da regimi corrotti e illiberali.
In molti casi, il popolo riesce a rovesciare i rispettivi governi, come in Egitto, – dove il presidente Mubarak finisce agli arresti – in Tunisia – con il dittatore Ben Ali costretto alla fuga – e in Libia, con l’uccisione di Gheddafi. Uno dei luoghi simbolo della primavera araba è piazza Tahrir, al Cairo, gremita da giovani che chiedono il rispetto delle libertà fondamentali e una società più giusta.
Migliaia di giovani che chiedono solo che venga applicata maggiore civiltà all’interno di una società civile.
In Siria, purtroppo, l’ondata di protesta sfocia, nel 2012, in una violenta guerra civile, con oltre 40mila vittime civili, tra cui donne e bambini.
Una primavera dalla quale stenta a germogliare una realtà diversa, migliore, più similare, nella forma, nei colori, nelle intenzioni e negli ideali, ai sentimenti più propriamente riconducibili alla “stagione dei fiori.”