Lo abbiamo pensato tutti, forse, quando sono emerse le prime notizie relative all’inchiesta “Mafia Capitale” che narravano di legami, forti ed oggettivamente innegabili, tra gli esponenti del tifo organizzato capitolino e gli uomini di Carminati.
Ciro Esposito è stato probabilmente vittima di un agguato firmato con una svastica proprio dagli esponenti di estrema destra dei quali De Santis faceva parte.
Quegli spari erano il frutto di un’azione, corale e premeditata, animata dal chiaro ed inequivocabile intento di attentare alla vita dei napoletani, in quanto tali.
Quel colpo ha ucciso Ciro, ma il bersaglio poteva essere chiunque. Questo deve essere ben chiaro a tutti.
Non si tratta di illazioni o di accuse arrancate nell’improvvisato tentativo di trovare un capro espiatorio cavalcando l’onda mediatica più cavalcata del momento: De Santis era il custode, illegalmente armato, di un’occupazione di estrema destra, il cosiddetto “Trifoglio” a Tor di Quinto, legato ora a Fratelli d’Italia e prima ancora al PdL, da anni occupato indisturbato, anzi, persino vezzeggiato dall’ex sindaco Alemanno e prima ancora da Storace, governatore del Lazio.
De Santis, più che un ultrà romanista è soprattutto una vecchia pedina del giro dei fascisti romani degli anni Novanta, divenuto oggetto d’attenzione mediatica grazie alla famigerata invasione di campo della quale si rese protagonista 10 anni fa per interrompere il derby Roma-Lazio.
Il Trifoglio era il simbolo della Lista de “Il Popolo della vita” che nel 2008 appoggiò la candidatura di Alemanno a sindaco di Roma e nel 2010 quella della Polverini alla Regione Lazio con i seguenti risultati: nel 2008, alle elezioni comunali di Roma, la lista Popolo della Vita – Trifoglio ha ottenuto oltre 10.500 voti, contribuendo alla vittoria di Alemanno. Nel 2010, alle elezioni regionali del Lazio, ha ottenuto 12.500 volti, ma a causa della bassa percentuale di votanti (60% circa), contribuì alla vittoria della Polverini. Tra i candidati in lista nel 2008 c’era anche Daniele De Santis “Gastone”.
De Santis, lo scorso 3 maggio, non era solo: mentre lui si dava alla fuga, dopo gli spari, è caduto ed è rimasto immobilizzato, riportando una frattura alla tibia, ma almeno altre tre persone viste dai napoletani, provvedevano a nascondere la sua pistola nell’attiguo vivaio per poi ad allontanarsi velocemente dall’altra uscita del luogo occupato ossia il Trifoglio.
La pista che ricostruisce i tasselli dell’agguato è una verità cruda, feroce, agghiacciante, forse troppo ed è per questo che accettarla fa ancora più male, perché riapre una ferita ancora tutt’altro che cicatrizzata.
Ma è pur sempre la verità e, pertanto, gli avvocati difensori di Ciro Esposito chiedono che il magistrato disponga l’acquisizione, dal fascicolo sul procedimento “Mafia capitale”, di tutte le intercettazioni intercorse nei giorni precedenti e successivi ai fatti dell’Olimpico “tra Carminati ed i soggetti appartenenti alla tifoseria della Roma ritenuti suoi fiancheggiatori”. “E’ notoria – spiegano infatti i legali – l’appartenenza del De Santis sia alle frange più violente della tifoseria, sia agli ambienti di estrema destra”.
Inoltre, proseguono gli avvocati, “proprio per tale motivo non si esclude che i fatti per cui si procede possano essere stati commentati con dovizia di particolari da soggetti “attenzionati” sia nella fase di preparazione che nei momenti successivi ai noti eventi che videro coinvolto il povero Ciro Esposito”. “In caso di esito positivo – concludono gli avvocati Pisani – si acquisirebbero importanti spunti investigativi, soprattutto al fine di identificare i complici di De Santis. Così finalmente dalle intercettazioni potrebbe emergere la verità sulla morte di Ciro”.
L’ipotesi dell’agguato trova tangibile riscontro in svariati elementi.
In primis, i messaggi apparsi sul web, nell’ambito di blog e forum gestiti, cliccati e commentati proprio dagli ultras giallorossi, pubblicati nei giorni antecedenti e che preannunciavano l’agguato, poi misteriosamente occultati, come inghiottiti dal vuoto, negli attimi immediatamente successivi ai fatti che hanno portato al ferimento di Ciro.
L’assenza delle forze dell’ordine che, differentemente a quanto avvenuto due anni prima – al cospetto della medesima partita disputata da Napoli e Juventus – non prevedeva alcun piano di sicurezza, lasciando i tifosi partenopei in balia degli eventi. “Quando camminavamo lungo una strada che ne incrociava un’altra, eravamo sopraffatti dal terrore di essere assaliti.” Questa la testimonianza nella quale converge all’unanimità la versione di tutti i tifosi presenti a Roma, quel giorno.
Il Prefetto e il Questore per primi dovrebbero, anzi, devono essere chiamati a rispondere in merito ad una mancanza tanto clamorosa che lascia quasi presagire che abbiano ricevuto l’ordine “dall’alto” di lasciare “campo libero agli amici”.
E perfino la complicità della tv di Stato che nel corso dei concitati attimi in cui i calciatori e le istituzioni in campo, si consultavano sul da farsi, giustificava il ferimento di Ciro Esposito come un “regolamento di conti estraneo alle vicende calcistiche, in quanto il ferito è originario di Scampia”.
E, ancora, la pantomima della trattativa con “Genny ‘a carogna” erto a vittima sacrificale ideale da dare in pasto ai media e all’opinione pubblicare per occultare la verità in una copiosa nube di fumo.
I tatuaggi, l’espressione “da cattivo”, i modi “da capo” e soprattutto quella maglia.
Gennaro De Tommaso viene punito con un daspo di 5 anni per aver indossato quella maglia che “inneggia alla violenza”.
Lo scorso 3 maggio, sono accadute tante cose che difficilmente dimenticheremo: l’Italia si è rivelata un paese capace di sovvertire l’accezione di senso della parola più semplice e genuina presente nel nostro vocabolario “libero”.
“Libertà” non è mai sinonimo di “violenza”.
Adesso, trafugare, violentare, denaturare, profanare anche la parola “Giustizia” no.
Non può e non deve succedere.