Michele Liguori è un eroe d’altri tempi, catapultato nell’era contemporanea.
Un uomo comune che ha scelto di morire da eroe, nella terra di nessuno, pur di osteggiare l’insulso operato dei “signori dei veleni”.
Michele non era un generale, non era un graduato di qualche ragguardevole Corpo dello Stato, bardato di medaglie e stellette, ma un semplice maresciallo della polizia municipale, armato dall’unica e nobile arma necessaria per intraprendere un cammino impervio come quello che ha contraddistinto, ma anche contaminato la sua vita: il coraggio.
Michele ha sacrificato la sua vita per dare la caccia ai “signori dei veleni” che hanno intossicato la sua città, Acerra.
Prima ancora che lo slogan della “Terra dei fuochi” facesse breccia nell’opinione pubblica, diventando oggetto di talk-show, manifestazioni e spot pubblicitari gratuiti per i vip.
Prima della “denuncia ad effetto” del best seller “Gomorra” ad opera del “martire” Roberto Saviano e che il pentito Carmine Schiavone e le sue rivelazioni, raccapriccianti e particolareggiate, smascherassero ufficialmente il turpe volto delle ecomafie.
Michele era un “cacciatore solitario” ed andava a scrutare le campagne brulle e i terreni invasi dalle sterpaglie e le discariche camuffate per segnalare, indagare, sequestrare, arrestare. Conosceva ogni centimetro quadrato dell’area contornata da quei righi tossici che come un minaccioso velo di morte avvolgeva la carcassa della sua terra e il destino dei suoi abitanti. Se ne andava a fare i sopralluoghi, giorno e notte, con la moglie e il figlio per non destare sospetti. Lo attendevano in auto, spesso. E ancor più spesso lo accompagnavano nelle passeggiate a piedi nelle terre di nessuno dove gli imprenditori collusi con la camorra hanno riversato migliaia di tonnellate di rifiuti speciali, approfittando di un sistema di controlli sostanzialmente inesistente.
Le sue operazioni non erano frutto di un lavoro di squadra, ma del suo unico e solo caparbio intuito. Lasciava che la politica si prendesse i meriti del suo lavoro, senza mai avanzare pretese, senza mai cercare di collocarsi al centro delle luci dei riflettori. Michele faceva solo il suo lavoro, non pretendeva applausi né ovazioni.
Senza sosta, senza limiti né remore o timori, Michele si è battuto come il più impavido degli eroi comuni per osteggiare quel cruento destino che assumeva le beffarde ed intimidatorie fattezze di una “condanna a morte”.
Le atrocità insite in quella disseminazione di tossicità ed inquinamento, Michele non le ha solo guardate negli occhi, le ha conosciute a sue spese, sulla sua stessa pelle, fino a rimanerne irrimediabilmente infettato.
Nel maggio del 2013, gli vengono diagnosticati due tumori.
Le analisi del sangue rivelano che nelle vene di Michele, miscelate al sangue, scorrevano le stesse sostanze che hanno assassinato i Regi Lagni e le colture di Acerra, contagiando pastori e contadini, impiegati e bambini, animali e macellai.
Grottareale, Pantano, Seminario, Frassitelli, Pietrabianca sono i nomi delle località battute e rastrellate da Michele.
Lastre di eternit, materiali bituminosi, scarti di lavorazione industriale ed edile: questo è quanto rinvenuto nelle viscere di quei luoghi, grazie all’operato di Michele.
Un giorno, mentre perlustrava un terreno di proprietà della Regione Campania, scoperchiò uno sconveniente vaso di Pandora: lì, le ecomafie, avevano sotterrato metri e metri cubi di plastica, gomma, residui di metalli ferrosi.
“Un passo falso” che crea imbarazzi e “problemi” ai piani alti. E non solo. Una notte, i suoi cani furono avvelenati. Doveva essere un segnale intimidatorio, uno di quelli che, secondo il codice d’Onore del Sistema, va attuato per imprimere paura. Invece, Michele ne ricavò ancor più rabbiosa e convinta determinazione.
Improvvisamente ed inspiegabilmente, però, venne trasferito a fare il piantone nel Castello Baronale, per un paio di anni.
Quando gli fu concesso di riprendere la sua battaglia contro “i signori dei veleni”, si mise nuovamente a fiutare le tracce lasciate dagli avvelenatori, ma, intanto, il veleno s’era insinuato nei polmoni e negli organi vitali. Anche quando, all’età di59 anni, ha scoperto di essere condannato a morte certa, non ha deposto le armi. O meglio, l’arma, quell’unica e sola arma che ha scandito la sua ammirevole battaglia: il coraggio.
Cercava soprattutto i ragazzi, i più giovani, instancabilmente.
Per insegnare loro l’importanza di difendere la propria terra.
“Quella che aveva ereditato dai suoi genitori e che si vergognava di lasciare, così com’era, stuprata e moribonda, a suo figlio.”
Così Michele parlava ai giovani.
Per mantenere vivo, il suo nome, il suo esempio e soprattutto gli insegnamenti, etici e morali, che Michele Liguori, un eroe d’altri tempi, catapultato nell’era contemporanea, ci ha lasciato in eredità, la scuola statale secondaria di primo grado, a indirizzo musicale, “Ferrajolo-Capasso” e il Comune gli intitoleranno l’auditorium.
La cerimonia d’inaugurazione si terrà lunedì, 15 dicembre 2014 in via Madonnelle, alle ore 16.30, a un anno circa di distanza dalla scomparsa di un uomo comune morto da eroe.